Il direttore del Cepid, Gabriele Sani: «Ansia e solitudine, in aumento il disagio psicologico»

A sinistra, lo psichiatra Gabriele Sani, alla guida del Cepid, con Riccardo Capecchi della Fondazione Lottomatica
di Barbara Carbone
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Giovedì 13 Luglio 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 07:49

Alla guida del Cepid, il nuovo centro specializzato in cura delle dipendenze, c’è Gabriele Sani, direttore della UOC di Psichiatria clinica e d’urgenza del Gemelli e ordinario di Psichiatria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Professore, a cinque mesi dall’apertura del Centro quale è il bilancio che sente di fare?

«È molto positivo ma questo ci deve far riflettere sulla grande richiesta di aiuto da parte di persone affette da dipendenze patologiche. Da quando abbiamo aperto siamo riusciti ad accogliere circa 30 nuovi pazienti al mese. Sono numeri importanti».

Secondo lei perché negli ultimi anni si è registrato un aumento di patologie mentali?

«Le ragioni sono tante. Di sicuro oggi c’è una maggiore attenzione al problema della salute mentale. Anni fa nessuno pensava di rivolgersi allo psichiatra che era visto come il medico dei pazzi.

Detto questo, oggi sono indubbiamente aumentati i disturbi. Quando ho iniziato a studiare si diceva che nel 2020 la depressione sarebbe stata la prima causa di disabilità al mondo. Questo triste risultato è stato raggiunto con 4 o 5 anni di anticipo. Le spiegazioni coinvolgono situazioni di stress ambientali superiori, maggiore disgregazione sociale e maggiore uso di sostanze stupefacenti e alcol già in giovane età».

Perché i giovani sono meno spensierati e più depressi?

«In realtà l’adolescenza è sempre stata contraddistinta da elementi malinconici. Quello che è cambiato rispetto ad anni fa è la struttura sociale. Prima vi era una più semplice capacità e possibilità di interazione con l’altro. Oggi è tutto disgregato e si ha più difficoltà di relazionarsi con gli altri».

Cosa devono fare i genitori di un ragazzo con patologie così invalidanti?

«Esserci e non è banale. È necessario ascoltare i nostri giovani. Esserci non vuol dire solo essere presente. Il ragazzo che vuole parlarci ha i suoi ritmi e tempi e noi dobbiamo essere in grado di rispettarli. E poi non bisogna essere mai giudicanti. Dobbiamo essere accoglienti e non avere paura a chiedere aiuto per i nostri figli e per noi stessi. Concludo citando una vecchia e attualissima massima dell’Oms: non vi è salute senza salute mentale». 

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