Tutto passa tutto cambia

di Roberto Gervaso
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Giovedì 7 Giugno 2018, 20:19 - Ultimo aggiornamento: 20:20
Passiamo e cambiamo anche noi. Se in meglio o in peggio, non so. Siamo nati nel 1937, e oggi ci avviamo agli ottantun anni, che compiremo, contro la nostra volontà, il 9 luglio. Abbiamo vissuto e ne abbiamo viste tante, e tante ne abbiamo fatte. Tutte lecite, e alcune, forse anche troppe, spensierate. Abbiamo amato, siamo stati amati. Abbiamo tradito, e siamo stati traditi. In gioventù, siamo stati galletti. Nell'età matura, galli cedroni. Poi, capponi. Non rimpiangiamo il passato, e i ricordi ci tengono compagnia. Non abbiamo rimpianti, forse perché le esperienze, con il loro corteggio di traversie, rovesci, avversità ci hanno reso stoici.

Oggi vediamo le cose dall'alto e da lontano, ma la memoria sempre viva, ci conforta e ci rende più saggi. Il nostro memento, impresso come un bassorilievo nella nostra mente e nel nostro cuore, ci rammenta l'aureo motto: Dio, dammi la forza di cambiare le cose che posso cambiare, di accettare quelle che non posso cambiare e l'intelligenza di capire la differenza fra le une e le altre.

Siamo vissuti a Torino, dove abbiamo studiato dalle elementari all'università, negli anni del dopoguerra, che non sono stati anni facili, anzi sono stati difficilissimi. Difficilissimi, ma esaltanti. L'Italia, che non abbiamo mai sentito tanto nostra come allora, usciva da una guerra scellerata e disperata, ma con una incontenibile e ardente voglia di risorgere. Tutto era a pezzi, ma solo quando tutto è a pezzi, e tu vuoi ricostruire qualcosa, ridare un senso alla vita, rinvigorire il tuo patriottismo, che non è arido e gretto nazionalismo, ma slancio sentimentale per ciò che la patria rappresenta, solo allora ti rimbocchi le maniche e ti lanci nella mischia.
Ho visto l'Italia degli anni Cinquanta e ho assistito al più miracoloso dei miracoli (io, che ai miracoli non ho mai creduto): il miracolo economico che nel 1960, ci è valso l'Oscar della lira.
Poi la svolta del Sessantotto, dello sciagurato Sessantotto, la svalutazione del merito, lo scempio delle regole e il sovvertimento delle gerarchie.

Ho vissuto gli anni di piombo e quelli di fango, e ne ho provato orrore e terrore. Poi, la bonaccia craxiana, favorita dalla corruzione più sfrontata, foriera di un benessere tangibile, ma fallace ed effimera. L' Italia da bere era alla portata di tutti, soprattutto al nord. Si viveva alla giornata e alla garibaldina, nell'illusione, fatale, che la cuccagna potesse durare all'infinito, che il regno di Bengodi fosse eterno, e i suoi sovrani non sarebbero mai stati deposti dai troni, spesso usurpati.

Non è andata così. Tangentopoli con il fragore di uno tsunami ha fatto piazza pulita di un'immonda finzione, di un regime marcio e screditato, smantellandone gli artificiosi orpelli, mostrando la realtà com'era, non come ci veniva rappresentata da chi indegnamente la incarnava.
Poi, sulle macerie della Prima Repubblica è nata la Seconda Repubblica, che farà presto rimpiangere quella, trascinando il paese alla deriva, propiziata da un debito pubblico vergognoso.
Oggi siamo qui, in attesa non sappiamo di che cosa. Ci siamo fatti troppe illusioni, tutte tradite. Non abbiamo più speranza. Abbiamo quello che meritiamo, e ora non sappiamo come affrontare e scongiurare la deriva, foriera di un imprevedibile naufragio.
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