La salvezza di Roma nelle mani di una gelataia

La salvezza di Roma nelle mani di una gelataia
di Pietro Piovani
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Giovedì 22 Dicembre 2016, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 22:04
La fontana di Trevi senza 
turisti solo nella Dolce Vita!
Secondo me nemmeno se vai alle 3
di notte la trovi senza turisti...
@MonkeyPuzzleBee



La scomparsa di Antonietta Cecere, titolare di una nota gelateria a due passi da Fontana di Trevi, non è soltanto una triste notizia per tutti quelli che la conoscevano. Oltre a essere stata una persona gentile e spiritosa, e una brava artigiana, la signora Cecere ha rappresentato, con il suo lavoro e con il suo gelato, uno degli ultimi baluardi del commercio tradizionale nelle strade del centro storico.

Collocata in una delle aree a più alta concentrazione turistica del mondo, la gelateria minuscola e un po’ démodé è circondata da bar psichedelici, ristoranti con i buttadentro all’ingresso e con le foto della pizza esposte in vetrina, insomma i professionisti nella spennatura degli stranieri. Mentre intorno a lei la concorrenza vendeva coni gelato privi di sapore a 5 euro l’uno, Antonietta ha continuato fino alla fine a produrre il suo famoso zabaione come faceva il padre sin dagli anni 50. La sua presenza mostrava in modo esemplare come sotto la parola “commercio” vengano in realtà incluse due attività quasi opposte: c’è il commercio che punta a fare felice il cliente per convincerlo a tornare; e c’è il commercio che invece ha l’obiettivo di tirare fuori dalle tasche dell’avventore la maggior quantità di denaro nel minor tempo possibile.

La prevalenza di questo secondo metodo appare inevitabile in un centro storico che ogni anno ospita circa 10 milioni di turisti, i quali mediamente si trattengono nella città eterna per non più di 2 notti e poi vanno via per sempre. Persone appassionate, generose e magari un po’ cocciute come era la sora Cecere (e come ancora sono quei pochi gelatai, ristoratori e negozianti di tradizione rimasti in centro) sono le sole forse a poter salvare Roma dalla morte. O per essere più precisi, dal suicidio.

pietro.piovani@ilmessaggero.it
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