Si canta «Namasté..» e non si chiede più scusa

di Maria Lombardi
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Venerdì 3 Marzo 2017, 00:05
Namasté? Nel dubbio, a mammata!
@BortoneMauro

La mano incollata sul clacson e l’auto prigioniera. Trenta quaranta cinquanta secondi di beep beep, roba da far innervosire pure i semafori, e niente. Il maleducato della doppia fila avrà il cemento nelle orecchie e sulla coscienza. D’accordo, suonare il clacson non è bello, poi però alle 7,30 del mattino incastrati tra asfalto e lamiere, sapete che c’è?, si suona senza timidezza. Beep e ancora beep, inutile insistere. «Qualcuno ha lasciato una Golf grigia in doppia fila?», tono alto un filo irritato. Nessuno risponde al bar, dal tabaccaio, dal fruttivendolo. Un’auto orfana. «Che c’è?», la voce quasi infastidita arriva infine dal fondo di una saletta attigua al bar. Il tipo alza gli occhi dalla slot-machine, si gioca di prima mattina e già questa è una cattiva notizia. La macchina. «Ah!», mugugna. «Mi ha bloccata, non sentiva il clacson?». Nessuna risposta. «Almeno, si scusi..». «Ma va...», le scuse sono un dito sollevato e uno sportello sbattuto in faccia. 
Un tempo bastava qualche colpetto di clacson. E l’arrogante della doppia fila - quello c’è sempre stato - compariva affannato con le braccia alzate e il più delle volte chiedeva scusa. Facile da perdonare. Poi le attese si sono allungate, le scuse diradate. Adesso anche i gestacci, vincono loro. Dalla maleducazione alla violenza è un passo. A tutti quelli che canticchiano «Namasté Alè» e poi mandano regolarmente a quel paese il prossimo è il caso di ricordare che Namasté vuol dire «mi inchino a te». Se non sono capaci di farlo, cambino almeno motivetto.

maria.lombardi@ilmessaggero.it
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