@Frazacca78
Anche Roma ha la sua Costa Concordia, ed è a lungotevere Flaminio. Da un mese ormai l’edificio squarciato è meta di curiosi con lo smartphone puntato. Tutti i giorni decine e decine di passanti si fermano a scrutare lo spettacolo di quell’attico devastato. Scattano fotografie, tante fotografie, usando ogni dispositivo possibile, per mettersi in tasca e portarsi a casa la stessa immagine già vista mille volte su giornali e televisioni. Solo pochi, per fortuna, hanno il coraggio di inquadrarsi in un vero e proprio selfie, gli altri magari vorrebbero farlo ma si trattengono per pudore, rendendosi conto che non è bello usare come sfondo lo scenario di una tragedia; perché alla fine di una tragedia si tratta, anche se non ci sono stati morti né feriti.
Con gli obiettivi fotografici si fruga a distanza tra le macerie degli appartamenti, violando la privacy degli inquilini sfollati. Si spiano le tappezzerie, i mobili destinati a marcire sotto le intemperie, e quell’armadio a muro lacerato che mostra all’intera città le camicie e le cravatte del padrone di casa. Si scattano foto, si osserva, e poi si discute. Nei capannelli che si formano quotidianamente tra le transenne dei vigili e il Ponte della musica si aprono dibattiti di statica e meccanica delle strutture, ci si divide sulle vere cause dell’incidente, i tramezzi abbattuti, i pilastri segati, i pesi eccessivi caricati sui terrazzi. Ci si interroga sul tempo che servirà per riparare tutto, e c’è sempre quello che parla con il tono dell’esperto (sarà un ingegnere?): «Ci vorranno almeno due o tre anni» dice. Azzarda anche una stima dei costi. E il pensiero va ai poveri inquilini del civico 70, che chissà quando potranno rientrare nelle loro case, e di sicuro non hanno voglia di scattare selfie.
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