L'insospettabile intelligenza del semaforo

di Pietro Piovani
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Mercoledì 26 Febbraio 2014, 23:29 - Ultimo aggiornamento: 27 Febbraio, 13:23
Mi piacerebbe che nelle strade della mia citt almeno i semafori fossero intelligenti



@fatomousso





Giampiero aveva imparato a uscire di casa tutte le mattine con dieci minuti di anticipo. Il suo nemico non era il traffico, tanto al lavoro ci andava in motorino: era un semaforo. Quel semaforo perennemente rosso di via Raffaele Stern incrocio Lungotevere, dove Giampiero sosteneva lunghe attese quotidiane seduto sul sellino. D’estate si fermava a qualche metro di distanza dall’incrocio, per ripararsi all'ombra dei palazzi, e si metteva a pensare. Pensava al lavoro, alla spesa, al compleanno della moglie, alla campagna acquisti della Roma. Alternava questi pensieri con una serie di maledizioni che distribuiva in modo equo e bipartisan tra tutti i sindaci succedutisi in Campidoglio negli ultimi venti anni, e poi l’agenzia per la mobilità, i vigili urbani, l’Atac. Nel frattempo osservava l'orologio: una volta il rosso durò per ben dodici minuti.



Con l’arrivo dell'inverno però Giampiero si rese conto che i tempi di attesa si erano praticamente azzerati: si presentava all’incrocio e in pochi secondi scattava il verde, sembrava quasi che il semaforo lo aspettasse per cambiare colore. Finché una mattina, osservando la strada con più attenzione, di colpo Giampiero capì tutto: a pochi metri dal semaforo c’era come un riquadro di asfalto, una specie di pedana sensibile al peso, bastava salirci sopra con le ruote e il semaforo reagiva. Un sistema di rilevamento dei veicoli installato per abbreviare i tempi di permanenza all'incrocio, che certo non poteva funzionare quando lo scooter si fermava a distanza.

Da allora Giampiero ha capito che questa città di cui ci lamentiamo tanto (e in genere a ragione) a volte si rivela invece di insospettabile efficienza.



pietro.piovani@ilmessaggero.it