Roma, un lumino funebre al Cafè de Paris di via Veneto: le minacce della ndrina di Alvaro

Roma, un lumino funebre al Cafè de Paris di via Veneto: le minacce della ndrina di Alvaro
di Valeria Di Corrado
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Domenica 24 Luglio 2022, 07:33 - Ultimo aggiornamento: 14:50

Un «minaccioso lumicino mortuario» fatto ritrovare all'interno del Cafè de Paris di via Veneto indirizzato agli amministratori giudiziari nominati dal Tribunale. È una delle tecniche di intimidazione usate dalla prima locale di ndrangheta trapiantata nella Capitale, con il beneplacito della casa madre calabrese, capeggiata dai boss Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo. A spiegarlo è il Tribunale del riesame di Roma che ha ritenuto infondato il ricorso presentato dalla difesa di Alvaro, secondo cui mancherebbe la percezione della forza intimidatrice, da intendere come «alone permanente di paura diffusa».

Per questo i legali di Alvaro avevano chiesto di annullare l'ordinanza eseguita lo scorso 10 maggio dalla Dia nella maxi-operazione Propaggine che aveva portato all'arresto di 43 persone, con l'accusa di far parte di un'associazione di stampo mafiosa.

I giudici della Libertà, per spiegare che la custodia in carcere è «l'unica idonea ad assicurare lo sradicamento dal contesto criminale nel quale Alvaro ha dimostrato di operare in modo continuativo, attraverso stretti e ramificati legami sul territorio romano», fa riferimento anche alle armi a disposizione della locale: dai fucili lubrificati che non fanno ruggine, tenuti seppelliti sotto terra, al ferro, alla gelsomina, al circolare accavallati, alla pistola puntata alla testa pur di conquistare una piazza di spaccio per far intendere chi fossero loro, i calabresi». Tuttavia, quando uno del clan irride la «potenza» dei Fasciani, Alvaro interviene per sedarlo «stando ben attento agli equilibri di mafia nella Capitale», spiegano i giudici.

 

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