Il giallo di Valerio, a 15 anni morto sotto il treno. Il padre: «Da un anno aspettiamo giustizia»

Valerio Frijia
di Rosalba Emiliozzi
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Lunedì 14 Gennaio 2019, 08:30

Un anno senza Valerio, le feste passate tra lacrime e ricordi, il primo Natale e il primo Capodanno con la cameretta vuota dove tutto è rimasto intatto. Per papà Alessandro, responsabile Erasmus della facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma, la vita si è incrinata il 13 gennaio dello scorso anno: «Stiamo morendo anche noi» dice.
In una notte cupa e gelida, il secondogenito Valerio Frijia, 15 anni, è volato da uno strapiombo finendo sotto un Intecity che passa una sola volta a settimana, senza fermare alla stazione di Labico, piccolo centro dell’hinterland romano.

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L’INDAGINE
Lo studente del Machiavelli di Roma è morto dilaniato dal treno, il corpo fatto a pezzi e trovato il giorno dopo. E la verità sulla sua morte è ancora avvolta nel mistero. Suicidio, caduta accidentale o morte in una situazione di pericolo come una lite o uno sgarro? «Tutto tace - dice il padre - attendiamo febbraio per l’udienza davanti al gip». La famiglia ha fatto opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dalla procura di Velletri, che non ravvisa colpevoli per la morte di Valerio (i due macchinisti del treno accusati di omicidio colposo andavano a una velocità congrua e per il pm le due posizioni sono da archiviare). Ma al papà di Valerio interessa andare a fondo, sapere chi ha incontrato il figlio quella notte quando uscì di casa di nascosto, dopo aver fatto la doccia ed essersi ben vestito. Qualche minuto a piedi e il quindicenne è arrivato nello spiazzo dove si trova un locale di Labico, luogo d’incontro dei ragazzi del paese. Con chi aveva appuntamento Valerio? Con chi ha fumato i quattro spinelli che ha mandato in foto, via WhatsApp, agli amici? Qualcuno lo ha visto cadere nel vuoto o sa cosa è successo? Domande senza risposta, finora.

I PROGETTI
«Fino allo scorso anno eravamo una famiglia felice, stavamo bene, non riesco a rassegnarmi all’idea che mio figlio sia uscito di casa e si sia buttato sotto al treno, avevamo tanti progetti» dice il padre. La famiglia Frijia, per protesta contro quello che ritiene un abbandono nei loro confronti della giustizia, non ha mai voluto fare il funerale. Da un anno i resti del povero ragazzo sono in un cella frigorifera dell’obitorio del policlinico di Tor Vergata. Per ora di sepoltura nessuno parla. Oggi al quartiere Portuense di Roma la famiglia Frijia ha organizzato una messa, alle 18, nella chiesa dei Santi Aquila e Priscilla in via Pietro Blaserna con i compagni di classe di Valerio. La madre del ragazzo lo ha annunciato in un post su Facebook, mentre il padre ha lasciato un commento in rete: «13-01-2018/13-01-2019. Quel giorno maledetto quando si è spento il sole...».

Perché la messa a Roma e non a Labico? «Sentiamo il paese lontano, nel posto dove Valerio è morto hanno fatto crescere i rovi, quelli che si professavano suoi amici ora alla mia vista scappano, sento malafede e furbizia» dice il padre che, subito dopo la tragedia, aveva denunciato con coraggio un giro di droga e spaccio a Labico che coinvolge ragazzi minorenni. I tocchi di fumo, nelle conversazioni WhatsApp, erano «mattoncini lego» e c’era anche chi spacciava pericolosa «marijuana spruzzata di benzina».
Ora il padre si sta dedicando alla riabilitazione dell’altro figlio più grande, che pochi mesi dopo la morte di Valerio ha avuto un grave incidente d’auto e ha rischiato la vita. «Quando in una famiglia succede una disgrazia si innesca un vortice maligno, l’incidente di mio figlio Emanuele ne è la conseguenza» commenta amaro.
 

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