Roma, si finge un altro su Tinder e la minaccia: «La pagherai». Poi il colpo di scena in aula, la vittima: «Non è lui»

Il 40enne è accusato di sostituzione di persona, ma la vittima in aula: «Non è lui». Dopo l’incontro con una persona diversa alla donna sono arrivati messaggi osceni

Roma, si finge un altro su Tinder e la minaccia: «La pagherai». Poi il colpo di scena in aula, la vittima: «Non è lui»
di Giulio Pinco Caracciolo
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Giovedì 14 Dicembre 2023, 22:34

Due chiacchiere su Tinder, qualche complimento, un veloce scambio di fotografie e tanta voglia di conoscersi dal vivo. Ma quando Giorgia (nome di fantasia) è arrivata all’appuntamento ha trovato una brutta sorpresa. «Quel pomeriggio del 2020 si è presentato un uomo di media statura con i capelli lunghi - racconta la 43enne in aula - diceva di chiamarsi Alessandro, ma non aveva nulla a che vedere con l’uomo delle foto che mi erano state inviate». Per lei è uno shock e non si fida nemmeno a scendere dalla macchina. «Ho rimesso in moto l’auto e me ne sono andata, sono scappata - spiega la vittima - mentre lui continuava ad insultarmi pesantemente». A processo con l’accusa di minacce e sostituzione di persona ci è finito Federico G., 40enne romano.

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Il colpo di scena

Ma durante l’udienza di martedì scorso, Giorgia spiazza tutti quando viene chiamata a riconoscere l’imputato seduto in aula 23 del tribunale monocratico di Roma: «Non è lui. Non è la persona che volevo denunciare. Non è l’uomo che si è presentato all’appuntamento quel giorno». L’avvocato della difesa, quasi incredula, chiede alla donna di ripetere quello che ha detto più lentamente. «Sì, confermo. Non è lui - e aggiunge - anche la voce non è la stessa perché mi ricordo bene che mentre sono scappata quel pomeriggio lui, tra gli insulti, mi ha gridato e giurato che per il mio rifiuto me l’avrebbe fatta pagare. E solo qualche ora più tardi ho capito a cosa si riferisse con quella frase minacciosa». Dopo quel brutto incontro per la vittima, madre single di due bambini, è iniziato l’incubo. Messaggi dal contenuto indicibile, chiamate nel cuore della notte e poi decine di foto pornografiche. Proprio a lei sempre così attenta e scrupolosa nel salvaguardare la sua privacy e la tranquillità dei suoi figli. «Il telefono suonava in continuazione - racconta la donna in lacrime davanti al giudice - io non aprivo i messaggi ma vedevo l’anteprima di quelle fotografie oscene». E il problema è che provenivano da decine di uomini diversi. Solo la sera dell’incontro, ha spiegato di essere stata contatta da circa trenta persone.
La donna, a quel punto, è in preda al panico. Non riesce a dormire tartassata dal telefono che squilla e dall’ansia che cresce. «Ho dovuto per forza chiudere i profili social e cambiare il numero di cellulare - conferma Giorgia rispondendo alla domanda del pm - le mie abitudini si sono modificate. Non riuscivo più a mangiare, avevo paura». Poi, un paio di giorni dopo, si fa forza e decide di contattare uno di quegli uomini che le avevano scritto per chiedere spiegazioni. Lui le rivela di aver trovato il suo contatto su un altro sito di incontri: Badoo. E così Giorgia scopre che qualcuno ha aperto un profilo fake a suo nome e con le sue foto. «Ero terrorizzata - racconta - avevo il timore che quelle foto potessero arrivare ai miei figli o ai miei parenti».

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La denuncia

Così si rivolge ai carabinieri fornendo le poche informazioni che ha a disposizione e racconta tutta la vicenda. Partono le indagini della polizia postale. Si risale al numero associato agli account ed ecco che si arriva a Federico G., ora imputato nel processo. È emerso che era intestato a sua moglie il numero di cellulare utilizzato per comunicare con la vittima e per aprire i profili di Tinder prima e poi quello di Badoo con le foto della vittima. Il 40enne tenta di trovare una spiegazione a questo apparente equivoco e riferisce al giudice che l’uomo che si è presentato all’appuntamento con Giorgia potrebbe essere Alessandro R., ovvero l’ex fidanzato di sua moglie (il nome coincide con quello con cui si era presentato su Tinder). L’imputato racconta che qualche anno prima Alessandro aveva convinto sua moglie ad intestarsi due schede telefoniche. «Si presentava come un carabiniere e in un momento di difficoltà aveva chiesto aiuto a mia moglie dicendo che aveva bisogno di due numeri di telefono per lavoro e per il padre che era malato. Sono anni che proviamo a chiuderle, ma dalla Wind non ci danno ascolto». Una storia intricata sulla quale il giudice vuole vederci chiaro alla prossima udienza, fissata a maggio, per capire se l’uomo a processo sia quello sbagliato.

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