Roma, pilotavano i ricorsi tributari: un giudice era il capo della banda

Roma, pilotavano i ricorsi tributari: un giudice era il capo della banda
di Michela Allegri
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Martedì 19 Aprile 2016, 08:33 - Ultimo aggiornamento: 20 Aprile, 17:59


Il tribunale del Riesame ha scritto un nuovo capitolo dell'inchiesta che ha svelato un accordo tra magistrati tributari, avvocati, commercialisti e appartenenti alle forze dell'ordine. Resta in carcere il giudice Onofrio D'Onghia Di Paola, cardine dell'associazione a delinquere contestata dalla Procura. D'Onghia era uno dei promotori di quello che gli inquirenti considerano un patto d'acciaio foraggiato a suon di mazzette, con lo scopo di pilotare ricorsi a sei zeri. Come si legge nelle motivazioni, l'indagato avrebbe dimostrato «di essere fortemente intenzionato a sfruttare forme di arricchimento facili per conseguire ingenti profitti illeciti»: avrebbe incassato illegalmente circa 370mila euro, in parte spartiti con colleghi corrotti. I magistrati sono categorici, nonostante il giudice abbia messo per iscritto la sua intenzione di rinunciare alla carica fino al termine del primo grado di giudizio. «Desidero autosospendermi irrevocabilmente dalle funzioni e dallo stipendio» ha scritto in una missiva. L'impegno «non è risultato credibile». A incastrare l'arrestato sono infatti le intercettazioni. Alcune frasi captate «hanno evidenziato una propensione a commettere reati, pur nella consapevolezza di essere sottoposto a indagine». Nel 2012, D'Onghia sa di essere nel mirino della Procura. Ma la sua unica preoccupazione è quella di dare indicazioni agli interlocutori, e invitare alla prudenza: «La smetti di scrivere per messaggio? - scrive - sta per scoppiare una bomba».
Delle 13 persone arrestate lo scorso marzo con accuse che vanno, a seconda delle posizioni, dall'associazione a delinquere alla corruzione, quasi tutte sono passate dal carcere ai domiciliari, o all'obbligo di presentazione alla pg.
 

GLI INTERROGATORI
Nel provvedimento sono riportati stralci degli interrogatori degli indagati. David De Paolis, commercialista, accusato di aver pagato una mazzetta al giudice Luigi De Gregori, ha dichiarato che si tratta «dell'unico episodio sgradevole della mia carriera». Nei suoi confronti l'ordinanza è stata annullata, perché non sussistono esigenze cautelari. Più problematica la posizione di De Gregori, ai domiciliari per motivi di salute. Escluso dall'associazione e accusato di aver agito in solitaria, ha ammesso le proprie colpe. Quando l'hanno arrestato stava scontando una condanna per fatti analoghi. Di fronte al gip, ha tentato di giustificarsi: «Devo aver fatto qualche fesseria - ha detto - avevo un problema: avevo fatto questo casale e avevo due mutui». Capo cosparso di cenere anche per l'ex dipendente dell'Agenzia delle Entrate, Daniele Campanile: «Prendo atto di alcune verità incontrovertibili, inoppugnabili... sono errori evidenti». Per i giudici, «ha commesso i reati contestati dopo essere stato licenziato dagli uffici tributari, ed ha continuato a sfruttare i propri collegamenti con persone interne per poter fornire un contributo qualificato all'associazione». La stessa cosa vale per il suo collega Tommaso Foggetti, ex funzionario dell'Erario. Franco Iannella, finanziare, «ha dimostrato di essere in grado di garantire, quale soggetto interno alla pubblica amministrazione, una disponibilità a fornire contributi idonei a permettere il pieno funzionamento del meccanismo illecito». Anche lui si è dimostrato pentito: «Ho sbagliato, mi assumo la responsabilità» ha dichiarato al gip.
 

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