LE REAZIONI
«Pensavamo di esserci lasciati tutto alle spalle - racconta Cinzia, funzionaria all'ufficio anagrafe - e rieccoci: ci ritroviamo le telecamere all'uscita e siamo di nuovo punto e a capo. Come se nulla fosse cambiato». Il rieccoci per Cinzia e gli altri 900 dipendenti del Municipio X è quel clima di tensione, all'indomani di ogni inchiesta che a Ostia ha svelato gli intrecci tra potere e illegalità. Dal 1992, quando nell'allora XIII circoscrizione scoppiò il primo caso di Mani Pulite, una storia di mazzette e consiglieri, alla cronaca recente del 2015 con il presidente del Municipio, il dem Andrea Tassone, travolto dall'operazione Mondo di Mezzo. Arrivò la commissione dei prefetti e quel timbro per Ostia: terra dei clan.
LA DELUSIONE
«Nel cambiamento questa volta ci speravo davvero - aggiunge Federico, che smista la posta da un ufficio all'altro - Avremmo voluto scrollarci di dosso questa etichetta e invece ci ritroviamo a fare i conti con le storie di sempre, ci siamo stancati». «Hanno scritto che noi qui siamo il feudo dei cinquestelle - ribatte Anna, sportello certificati - Noi qui siamo soprattutto cittadini liberi e la maggior parte di noi è fatta da persone oneste. Abbiamo creduto nella legalità ma qui le cose continuano a non cambiare: va tutto male». La presidente grillina Giuliana Di Pillo si sottrae all'aula: «Sta attendendo indicazioni da Roma», fanno sapere dal suo entourage. E intanto, nel consiglio municipale riunito ieri alle richieste dell'opposizione sulla vicenda stadio, la maggioranza M5S ha risposto solo con il silenzio.
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