Mafia capitale, la commissione: il Campidoglio va sciolto. Scontro tra le due relazioni

Mafia capitale, la commissione: il Campidoglio va sciolto. Scontro tra le due relazioni
di Cristiana Mangani e Sara Menafra
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Giovedì 9 Luglio 2015, 23:56 - Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 16:25

Una città sotto tutela, avvilita da un concorso di colpe a volte inconsapevole, altre pienamente partecipe. Roma ai minimi termini tra una politica che ha mangiato senza ritegno alla tavola di Massimo Carminati e di Salvatore Buzzi, e una amministrazione che cerca di galleggiare nonostante molti degli snodi operativi siano a rischio commissariamento. È un quadro sconfortante quello che emerge dalle conclusioni stilate dal prefetto Franco Gabrielli. Pagine e pagine per spiegare quanta responsabilità abbiano dirigenti, assessori, consiglieri. «È innegabile - scrive il prefetto - come, potendo fidare su un nutrito “pacchetto” di dipendenti capitolini compiacenti o corrotti e su consolidati rapporti con un numero significativo di membri degli organi elettivi (di maggioranza e minoranza) “ereditati” dalla precedente Consiliatura, “mafia Capitale” abbia continuato a sviluppare i suoi traffici illeciti anche durante la nuova amministrazione».

LA DOPPIA LETTURA Prima di lui la Commissione di accesso aveva descritto la città in maniera ancora più dura: «È un’amministrazione inquinata, connotata da una profonda mala gestio, in cui il condizionamento mafioso produce una pesante deviazione del canone di legalità dalla funzione di indirizzo politico, sotto l’influenza di dirigenti collegati a mafia Capitale». Una conclusione sulla quale il prefetto è intervenuto, cercando una soluzione intermedia, con il placet del procuratore Giuseppe Pignatone, così evitando di “chiudere” per mafia la Capitale d’Italia. Per Gabrielli, infatti, gli elementi riferiti alla giunta Marino, «pur presentando i caratteri di rilevanza e concretezza, non riuniscono l’indispensabile tratto di univocità» necessario all’extrema ratio.

LE DUE GIUNTE Tra il prima e il dopo vengono fatti dei distinguo.

E se Gabrielle ritiene che l’ex sindaco Gianni Alemanno si possa considerare “intraneo” all’organizzazione criminale, per il primo cittadino in carica, invece, parla di «discontinuità». «Da questo punto di vista - è ancora il contenuto del documento riservato - va evidenziato come la giunta Marino abbia dato alcuni precisi e non trascurabili segnali. Seppure va precisato che, almeno all’inizio della gestione, si tratta di scelte non dettate da una precisa e consapevole volontà di contrastare l’illegittimità e il malaffare quanto piuttosto di comportamenti ispirati agli ordinari parametri di regolarità cui, di norma, dovrebbe uniformarsi l’azione amministrativa, che diventano “straordinari” solo se correlati ex post alle dimensioni e alla pervasività del sistema corruttivo disvelato dalle indagini giudiziarie».

Ecco perché nelle conclusioni il prefetto propone al ministro Angelino Alfano lo scioglimento di Ostia per mafia, la rimozione di 18 dirigenti tra cui il segretario e direttore generale del Comune Liborio Iudicello, il commissariamento di cinque dipartimenti (Verde, Sociale, Patrimonio, Scuola e Lavori Pubblici) e di due Municipi, l'annullamento di numerose determine capitoline (che riguardano l'Ama, la Multiservizi, l'Ente Eur e la Marco Polo), degli appalti dei rifiuti e soprattutto, del contratto con Ama, che renderanno molto difficile governare la Capitale. Soprattutto in vista dell'ormai prossimo Giubileo.

L’ELENCO DEI DIRIGENTI La relazione, poi, mette in fila anche i nomi di dirigenti, impiegati e singoli funzionari che rischiano di essere rimossi o allontanati sulla base del comma 5 dell’articolo 143 del Testo unico sulla pubblica amministrazione. Il «pacchetto» di dipendenti capitolini, come lo definisce la Commissione d’accesso, è composto in totale da diciotto persone tra dirigenti e impiegati. Molti dei nomi finiti dell’elenco sono figure apicali ampiamente citate nelle carte dell’inchiesta ed in qualche caso persino arrestati nel corso delle indagini: è il caso di Gaetano Altamura, direttore del Dipartimento ambiente del comune all’epoca della prima ondata di arresti e attualmente agli arresti domiciliari, che almeno inizialmente sarebbe riuscito «a “orientare” l’assessore Estella Marino».

Ma c’è anche di Claudio Turella, responsabile del servizio di Programmazione e gestione verde pubblico del Comune, arrestato a dicembre e diventato famoso perché a casa sua i Carabinieri del Ros hanno trovato 550mila euro riposti in sacchetti con il logo del Comune di Roma. O di Rosanna Calistri, collaboratrice dell’assessorato alla Cultura, ed Emanuela Salvatori, ai domiciliari sulla base dell’ordinanza di dicembre o, ancora, di Walter Politano indagato per associazione mafiosa. Oltre a questi, però, ci sono anche alcuni nomi che non risultano essere nell’elenco degli indagati. È il caso di Liborio Iudicello, segretario comunale e direttore generale, ma anche di Mattia Stella, capo segreteria del sindaco Ignazio Marino, finito sui giornali per alcune intercettazioni con Salvatore Buzzi, e di Isabella Cozza recentemente rimossa dal Dipartimento politiche sociali anche perché, stando all’inchiesta, avrebbe ottenuto l’incarico grazie alle pressioni di Buzzi e dei suoi. Infine, i commissari hanno rintracciato, proponendone la rimozione, nomi che sui giornali non sono mai finiti e sono a malapena citati in qualche intercettazione: Alfredo Romani, responsabile dell’ufficio immigrazione, Ivana Bigari, direttore del settore Accoglienza e inclusione sociale, Giacomo Zarelli, geometra del Dipartimento manutenzione urbana, Bruno Cignini, dirigente del dipartimento Verde.

ALEMANNO E AMA La definizione più pesante Gabrielli le riserva a Gianni Alemanno. L’ex sindaco è stato un «intraneo di mafia Capitale», vale a dire assoldato a pieno titolo dal duo Buzzi& Carminati. Di più: sotto la sua giunta l’Ama viene praticamente «subappaltata all’organizzazione». La «reiterata “curvatura” delle scelte degli organi di indirizzo politico-amministrativo alle esigenze e agli interessi» è dimostrata da diverse circostanze. La prima: grazie alle pressioni della cupola romana, nel periodo 2012-2014 in sede di assestamento c’è stato un riconoscimento di ben 12 milioni di euro di debiti fuori bilancio, per l’assistenza dei minori non accompagnati, a favore delle cooperative di Buzzi. E ancora: con la giunta Alemanno l’Ama «è oggetto di una gestione per così dire “proprietaria” da parte del suo amministratore delegato Franco Panzironi, anch’egli accusato di essere intraneo a mafia Capitale oltre che di corruzione».

E quando l’ex ad è costretto a lasciare, non solo continua a gestire l’azienda come «un vero e proprio funzionario di fatto», ma a subentrargli sono nuovi vertici (Berti e Fiscon) del «demi monde» di Carminati. In altre parole - scrive Gabrielli riferendosi alla giunta Alemanno - «l’immagine che se ne ricava è di una “classe burocratica” non più adeguatamente controllata che ha completamento smarrito il più elementare senso delle regole e del dovere di servire la collettività con disciplina e onore».

IL CASO OSTIA Molto dura la conclusione sulla situazione che vive il Municipio di Ostia, proposto per lo scioglimento e attualmente, si legge nella sua relazione, “curvato” alla esigenze criminali. «Il sodalizio capeggiato da Carminati ha intessuto solidi rapporti con le consorterie criminali presenti nel distretto ostiense, stringendo intese anche sulle modalità di svolgimento dei traffici illeciti», scrive il prefetto. Da un lato ci sono i rapporti del presidente del municipio Andrea Tassone con Buzzi e Carminati. Dall’altro quelli «con le ”mafie storiche” di dirigenti e dipendenti del Municipio».

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