«Ho ucciso il mio migliore amico,
vorrei che fosse solo un incubo»

Simone, la vittima, insieme all'amico Cesare
di Luca Lippera
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Mercoledì 14 Dicembre 2011, 12:56 - Ultimo aggiornamento: 23 Dicembre, 18:01
ROMA - Vorrei svegliarmi e scoprire che tutto un incubo. Non posso neanche immaginare di aver ucciso Simone con un pugno. Lo sapete: gli volevo bene pi che a un fratello. Era un amico: il mio migliore amico.



Poche parole affidate a uno dei familiari descrivono il dramma che accompagnerà per sempre per tutta la vita il sedicenne che domenica sera ha ucciso Simone Costa al centro commerciale «Parco Leonardo» di Fiumicino. Il ragazzo, detenuto in un centro per minorenni con l’accusa di omicidio preterintenzionale, ieri ha parlato con l’avvocato, Paola Cittadini, e chi lo ha visto descrive «un fantasma» annientato dalla tragedia.



«È pallido come uno straccio dice uno dei volontari della struttura e non fa che ripetere una cosa: “Non è possibile”». La ricostruzione fatta dagli agenti del commissariato di Fiumicino e dai colleghi della Mobile conferma che la lite è nata veramente da «una stupidaggine». Costa era seduto al tavolino di un take-away giapponese con altri cinque sedicenni: tre conoscenti, il ragazzo che l’ha ucciso e un amico dei due, il testimone principale del dramma.



«In tutto ha detto quest’ultimo alla polizia eravamo in sei. Stavamo aspettando l’autobus navetta per tornare a Fiumicino a casa. La discussione è cominciata per una sigaretta. Simone fumava, l’altro voleva un tiro, lui gli ha detto di no. Scherzava. Hanno cominciato a sfottersi. Si sono dati un calcetto sotto il tavolo. Sono cominciate le parole. “Non vedi che mi sporchi con la cenere?”. “E allora?”. Pareva una cosa da niente. Si erano appiccicati altre volte tanto per fare. Si sono alzati. Si sono dati un paio di spintoni. Poi è partito un pugno».



Simone Costa, colpito alla tempia, è ricaduto su una sedia e gli attimi che sono seguiti si può solo tentare di immaginarli. «Sembrava una cosa da niente ha raccontato il ragazzino agli agenti L’ho visto per qualche secondo che giocherellava con il telefonino e un accendino. Poi, nel giro di un attimo, gli si è afflosciata la testa. Abbiamo cercato di scuoterlo.



Lo abbiamo tirato su: aveva gli occhi spalancati ma fissi e cominciava a perdere sangue dal naso. È passata una ragazza. Ha capito che stava succedendo qualcosa di grave. È corsa nel ristorante giapponese. Ha preso una bottiglia d’acqua. Con i fazzoletti abbiamo cercato di fermargli il sangue. Pensavamo che avesse il naso rotto. Poi ci siamo resi conto che non rispondeva più. Gli ho alzato una mano: è ricaduta giù come quella di un manichino».



Simone Costa, figlio del titolare di un internet-point e di un’impiegata, probabilmente era già moribondo. «L’amico mio che gli aveva dato il cazzotto alla tempia ha aggiunto il testimone nel racconto fatto alla polizia sembrava pure lui un automa. L’hanno portato via le guardie giurate del centro commerciale e quasi non riusciva a camminare. Inciampava e continuava a guardarsi indietro fissando la sedia dove stava accasciato Simone. Cercava di capire. Non poteva credere che lui stesse così male».



Insomma: una tragedia nella tragedia. Anche se qualcuno, evidentemente, non riesce più nemmeno a valutare la portata di certi drammi. Ieri su Facebook, la comunità via internet che spopola tra gli adolescenti, è apparsa una pagina in cui Simone Costa è stato accusato di «tirchieria» per non aver diviso la sigaretta con l’amico che poi l’ha ucciso. Il Codacons, denunciando l’accaduto, ha chiesto l’intervento della Polizia Postale «perché si tratta di una cosa aberrante che addirittura giustifica quello che è accaduto e inneggia all’omicidio». Le parole del giovane assassino sono lì «Vorrei svegliarmi dall’incubo» e dicono che non tutto è uno scherzo, non tutto è virtuale.
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