Delitto di Guidonia, il dolore dei parenti: «Questa tragedia un macigno per tutta la famiglia»

Delitto di Guidonia, il dolore dei parenti: «Questa tragedia un macigno per tutta la famiglia»
di Elena Ceravolo
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Venerdì 10 Ottobre 2014, 06:10 - Ultimo aggiornamento: 07:53
«Non si può credere a tanta ferocia. Non riesco nemmeno a pensare che mia cugina Lucia, per come la conoscevo io, potesse arrivare a tanto. E' una tragedia infinita: prima la zia Rosina morta ammazzata nella sua casa e ieri la notizia che a massacrarla sarebbe stata una di famiglia. Un macigno».

Fa fatica a ricostruire una vicenda «che non ha nessuna spiegazione razionale» Marcello Raffaele, nipote della vittima e cugino della presunta assassina.

La frequentazione non era assidua «perché capita che con l'andare del tempo e degli impegni ci si perda di vista», ma non ha davvero una chiave di lettura per una vicenda così drammatica. «Non ci sono, che io sappia, questioni vecchie rimaste in sospeso. Mia zia me la ricordo come una donna splendida, attiva. E mia cugina come una ragazza tranquilla. Ciò che è successo per noi è inspiegabile. Stamattina, quando ho saputo, ho chiamato mio fratello. Anche lui è rimasto senza parole». Si sente di escludere che la questione possa essere legata a, magari vecchie, questioni di interesse: niente proprietà da dividere, niente di materiale su cui discutere.



RANCORI

Lucia Raffaele agli inquirenti ha parlato di rancori mai sopiti. Sarebbe scattata, secondo il suo racconto, di fronte ad accuse mosse ai suoi genitori. Suo padre Pasquale, morto nel 1991 in seguito all'esplosione di una fabbrica di fuochi d'artificio, e sua madre venuta a mancare per malattia un paio di anni fa. Chissà cosa è scattato nella testa di Lucia. E chissà, soprattutto, perché quel discorso iniziato dopo un caffè e davanti ad una busta di zucchine da pulire insieme - è sempre il racconto del quarantunenne - sia andato a finire su corde così sensibili. Tanto da far scattare Lucia come una furia: dopo il coltello ha afferrato anche un martello. E ha colpito per sessantaquattro volte. Davanti agli investigatori, in un primo momento, ha cercato di negare tutto: «Io non c'entro nulla - avrebbe detto - Se trovate tracce mie è solo perché quella mattina sono andata a trovarla». Però, quando di fronte alle contestazioni incalzanti dei poliziotti ha capito di non avere via d'uscita, ha confessato. Lucida e precisa. «Come non si rendesse nemmeno conto della gravità del fatto», ha spiegato l'avvocato che l'ha assistita durante l'interrogatorio.



LA PAURA

Intanto a Setteville di Guidonia, un quartiere di 20mila anime a ridosso della Tiburtina proprio al confine con la Capitale, ieri non si parlava d'altro. «Una donna, sua nipote? - ha commentato un'amica di passaggio, con gli occhi lucidi davanti a quelle finestre chiuse dai sigilli, le stesse da dove Rosina si affacciava per chiacchierare - No, proprio non potevamo immaginarcelo. La nostra idea e la nostra paura era che potesse essersi trattato di una rapina, di un furto andato storto». Già, la paura. «La fine di Rosina ci ha lasciato senza parole - ha aggiunto un'altra vicina - ma in questi due giorni, oltre che con l'orrore del destino toccato ad una donna così bella e generosa, abbiamo combattuto anche con la paura che nel nostro quartiere si aggirasse una mente malata pronta a colpire con tanta ferocia. Mio figlio, dopo il fatto, mi da detto più volte che non voleva rimanere da solo in casa. C'è da ringraziare tutta la polizia per la rapidità con cui ha chiuso quest'indagine. Rimane lo sconcerto e il dolore immenso di questa famiglia».