Dai clan serbi ai montenegrini, così i rom si dividono il potere

Dai clan serbi ai montenegrini, così i rom si dividono il potere
di Alessia Marani
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Domenica 31 Maggio 2015, 06:20 - Ultimo aggiornamento: 09:48

Ha un valore la consegna dei rom pirati della strada alla polizia? Perché di solito le famiglie rivali nomadi mettono fine ai loro guai con una sorta di summit che ha il sapore di un processo. Come nelle famiglie di Cosa Nostra così i rom che all'improvviso si trovano ad avere una magagna, un problema tra di loro, si mettono attorno a un tavolo. I boss si riuniscono, discutono su come pacificare la guerra. E di solito chi è più potente, chi incute più timore, è quello che vince e si prende la ragione. Chi perde risarcisce il danno: in denaro. Chi dovrà costituirsi per primo alla polizia? Chi si assumerà la responsabilità della guida? È di questo che stanno discutendo le famiglie dei fuggitivi, quelli del clan Halilovic, con lo stesso cognome, ma serbi gli uni e montenegrini gli altri?

ETNIE CONTRO
Insulti, pugni, calci, fino alle coltellate e ai colpi di pistola: la guerra dei rom esplode anno dopo anno nelle favelas della Capitale. Castel Romano, a trenta chilometri dal Centro: qui i container ospitano 1000 persone. È il più grande “villaggio della solidarietà” (ovvero: campo attrezzato) a Roma. Inaugurato nel 2005, viene ampliato nel 2012 per ospitare anche i transfughi di Tor de' Cenci, periferia Sud. Altra baraccopoli in cui macedoni e bosniaci si erano già affrontanti per la primazia. Il loro inserimento scatena la guerriglia all'interno del campo suddiviso con le recinzioni in quattro settori: M, D, K (dalle iniziali dei capostipiti) e 4. È nel D, posto al centro degli altri che confluiscono i nuovi arrivati. Su cui comincia a piovere di tutto: sassi, bottiglie, pezzi di ferro e mobilio. Quando i vigilantes di “Risorse per Roma” (società che non presta più servizio nei campi) chiama la municipale, i nomadi sminuiscono: «Roba tra ragazzi, sono i bambini che lanciano le pietre». Il sospetto, però, è che in ballo ci siano ben altre faccende. Furti, rapine, droga, la raccolta del rame e del ferro: è su questo terreno che si gioca il delicato equilibrio tra le bande criminali. Da Castel Romano parte la maggior parte delle schiere di gang di minori che depreda pendolari e turisti nelle metropolitane, come annotano decine di verbali di polizia e carabinieri. E qui l'altra estate furono appiccate le fiamme ad alcuni moduli abitativi: una polveriera di 198 famiglie bosniache, serbe, montenegrine e romene (queste sempre più numerose), pronta a esplodere di nuovo.

QUESTIONI DI SANGUE
La guerra dei rom è anche questione di sangue. Col matrimonio i clan suggellano affari comuni o paci ritrovate. Poco amore e tanto interesse. La futura sposa è una minore il cui “valore” viene quantificato nella sua capacità redditizia, purtroppo spesso legata ad attività come il furto o l'elemosina. Grande festa, balli e canti: la famiglia dello sposo paga la dote concordata e la neo-sposa entrerà a pieno titolo nella nuova famiglia, assoggettata alle volontà della suocera. È quando qualcosa non fila liscio in questo o in altri scambi che esplodono le liti.

«A volte furiose, con risse e coltelli - spiega Fabrizio Santori, consigliere regionale del Lazio - emblematico il caso del campo di via Candoni, zona Sud di Roma. Qui i bosniaci vivono separati dai romeni attraverso una recinzione. Lo scorso anno i vigili urbani dello Spe, il gruppo per la Sicurezza pubblica emergenziale, dovettero intervenire più volte per separare le fazioni». Più furbo Salvatore Buzzi, il ras delle coop di Mafia Capitale, che «per evitare problemi» nella gestione di Castel Romano decise di affidare la “mediazione culturale” ai Casamonica, sinti d'origine abruzzese potenti a Roma.