Atac, piano di salvataggio nelle mani dei lavoratori: deciderà un referendum

Atac, piano di salvataggio nelle mani dei lavoratori: deciderà un referendum
di Simone Canettieri
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Martedì 15 Agosto 2017, 10:05 - Ultimo aggiornamento: 14:33

Beppe Grillo ha già il tweet pronto (se tutto andrà bene). Si tratterà di sostituire Aamps con Atac. Quindi rifiuti con trasporti. Livorno con Roma. Lo scorso gennaio il leader del M5S scrisse: «La cura imposta dal Movimento 5 Stelle ha funzionato: Aamps, l'azienda dei rifiuti di Livorno ridotta sul lastrico da anni di gestione clientelare a firma Pd, è finalmente salva». Uno squillo di tromba arrivato dopo il sì dei creditori al concordato preventivo. Una procedura che prende sempre più piede nella Capitale e che, come nella città labronica, potrebbe vedere nel voto dei creditori lo snodo più importante. Tra questi figurano anche gli undicimila dipendenti della municipalizzata: saranno chiamati anche loro a esprimersi sul piano presentato al tribunale per salvare l'azienda dal fallimento. Non solo dunque le banche e i fornitori, che vantano con Atac un debito da 1,3 miliardi di euro. Le norme prevedono una consultazione tra il personale, e i sindacati giocheranno una parte attiva fondamentale.

Le mille sigle che sguazzano in Atac un anno fa appoggiarono Virginia Raggi senza colpo ferire, adesso il sostegno potrebbe non essere così scontato.

Di fatto l'operazione nella Livorno pentastellata di Filippo Nogarin (anche se le dimensioni e i debiti dell'azienda non sono paragonabili con quelli della municipalizzata) in un certo senso è stata pilota per la Capitale. Non solo perché alcuni protagonisti di quella esperienza ora ricoprono ruoli apicali nella Capitale. È il caso per esempio di Luca Lanzalone, presidente di Acea, l'uomo del concordato preventivo a Livorno. E un percorso simile è toccato anche a Fabio Serini, ora commissario dell'Ipa (l'istituto di previdenza dei dipendenti comunali), prima curatore giudiziale all'Aamps. Coincidenze, forse. Così come la profetica frase di Grillo, una volta incassato il sì dei creditori nella cittadina toscana: «Quello che succede a Livorno è quello che succederà a Roma».

I TEMPI
Carlo Felice Giampaolino, il docente di Tor Vergata entrato in Atac come esperto che si occuperà della ristrutturazione societaria, si è preso una settimana di tempo da quando è stato nominato per disegnare il percorso da presentare a Paolo Simioni, sempre più plenipotenziario di Atac da quando è stato nominato direttore generale, oltre che esserne presidente e amministratore delegato.

A fine mese da via Prenestina partirà il responso verso il Campidoglio. L'ipotesi del prestito ponte viene considerata poco praticabile.

LE STRADE
In ballo ci sono il concordato preventivo o la ristrutturazione del debito, procedure entrambe gestite dal tribunale fallimentare. Nel caso della prima pista, l'azienda fa ricorso al tribunale e poi passano 120 giorni affinché i giudici si esprimano sull'accordo con i creditori e sul relativo piano industriale di rilancio dell'azienda. Intanto, per esempio, vengono bloccati gli interessi passivi sul debito: una cifra calcolata intorno ai 75 milioni di euro. Dentro il piano industriale è pronta anche finire l'alienazione degli immobili. Dopo sei mesi, in piena campagna elettorale per le regionali e le politiche, potrebbe arrivare il referendum dei creditori: banche, fornitori e dipendenti. A Livorno finì con una maggioranza schiacciante per il sì. A Roma il risultato è imprevedibile, soprattutto ad ascoltare gli annunci dei sindacati «pronti alla bloccare la città» giusto per tenersi sempre in forma.