Mafia Capitale, Pd romano nel caos: Orfini prorogato commissario

Matteo Orfini
di Simone Canettieri
3 Minuti di Lettura
Sabato 26 Settembre 2015, 06:36 - Ultimo aggiornamento: 27 Settembre, 09:38
La lettera porta la firma del segretario Matteo Renzi e del vice Lorenzo Guerini. Ed è indirizzata al commissario del Pd di Roma Matteo Orfini. La delibera, tecnicamente di questo si tratta, dice due cose. La prima è che la direzione e l'assemblea dei democrat romani sono «azzerate». Poi, in seconda battuta, proroga il commissariamento del partito per un altro anno, «entro il quale si dovranno svolgere il nuovo congresso e l'elezione degli organismi dirigenti».



Così il Nazareno interviene sul Pd ai tempi di Mafia Capitale. Da una parte con un colpo di spugna toglie dal tavolo i possibili ricorsi spuntati in queste ore perché non c'erano più state convocazioni degli organi elettivi, dall'altra cristallizza la situazione. Dando mandato a Orfini di continuare l'opera di pulizia del partito. Senza eccessiva fretta. E soprattutto stoppando la corsa per la segreteria scattata nelle ultime settimane con una certa foga velenosa.



LE ANIME

Con le correnti emanazioni dei leader locali (il governatore Nicola Zingaretti, i renziani di Lorenza Bonaccorsi e lo stesso Orfini, che è anche capo dei Giovani Turchi pro Marino) pronte a riaffiorare nel classico tutti contro tutti. (Anche se tutti ufficialmente negano questa lettura: «Noi, le correnti? Ma per carità, sono finite»). Un meccanismo perverso già visto nel passato ed esploso in tutta evidenza durante Mafia Capitale nella lotta tra i capibastone. Ora, a nove mesi dall'inizio del commissariamento costato la carica al segretario Lionello Cosentino, il Pd se la prende con calma. Troppo caos sotto il sole. Alcuni punti fermi ci sono, però.



Sia la relazione di Orfini, sia quella dell'ex ministro Fabrizio Barca hanno stabilito che il partito prima era «pericoloso e dannoso» politicamente, ma allo stesso tempo composto da iscritti falsi (il 20 per cento) e sedi fittizie (un altro abbondante 20 per cento).

Proprio in base a questi ultimi dati Renzi e Guerini hanno deciso di azzerare tutti i vertici (direzione e assemblea) che teoricamente ancora esistevano anche se in nove mesi si sono riuniti a malapena una volta.



STOP AL CONGRESSO

La vera novità però è la scelta di «congelare tutto» e di non arrivare a un congresso che sarebbe stato molto a rischio. Con il partito diviso in mille rivoli alla ricerca di una candidato unitario che difficilmente sarebbe uscito fuori. Un cambio di strategia totale. Orfini appena nominato disse che sarebbe ritornato a fare solo il presidente nazionale del partito prima dell'inizio Giubileo: «Per l'otto dicembre il Pd avrà un nuovo segretario». Un annuncio che non è stato rispettato. Perché nel frattempo, da dicembre a oggi, ci sono state un'altra tranche dell'inchiesta su Mafia Capitale e un'altra crisi, anche bella grossa in Campidoglio, con Orfini e Marino da una parte, Renzi e il resto del partito dall'altra. Ecco, un altro dei timori del Nazareno era proprio questo. Convocare un congresso adesso sarebbe stato come indire un referendum sul sindaco tra chi lo sostiene e chi lo critica, nemmeno tanto velatamente.



L'INCHIESTA

Un rischio, e soprattutto un boomerang mediatico. Visto che il 5 novembre, giusto per dare un'occhiata al calendario, inizierà il maxi processo per Mafia Capitale. Piccoli particolari che messi tutti insieme fanno la differenza. Ma dietro allo stop di Renzi c'è soprattutto la paura che il partito non avrebbe retto l'impatto di una nuova conta. Nei giorni scorsi il parlamentare del Pd Roberto Morassut è stato chiaro: «Da quanto mi risulta le cose nel nostro partito burocratico stanno di nuovo prendendo un brutto andazzo: non vorrei che stessero ritornando le correnti, seppur ripulite». Nel dubbio Renzi ha detto no. Da qui alla fine del 2016 il Pd romano continuerà a essere commissariato.