Gioventino M., denunciato per incendio colposo, da quel giorno non si dà pace. Ha fatto l'operaio in un'azienda del Nucleo, chiusa da 20 anni. Dalla finestra della cucina di casa sua vede le colonne di fumo di Monte Giano e si dispera. Col cronista è gentile ma fermo: «Non posso parlare, quello che dovevo dire l'ho messo a verbale con i Forestali». Anche se vorrebbe farlo, non fosse altro per smentire le chiacchiere girate in paese, del fuoco lasciato acceso incustodito, come neanche il peggior sconsiderato.
E' il verbale stilato dai Carabinieri Forestali a raccogliere il racconto dell'uomo. Martedì mattina Gioventino è con sua moglie nello spiazzo di via Regina Margherita. Fanno i pomodori, come tutti gli anni: un'ora di bollitura a fuoco vivo poi le fiamme spente con l'acqua e i tizzoni e la cenere allargata sotto al caldaio per essere certi di aver spento tutto. Intorno alle 13 la coppia rientra a casa. Ma nel giro di un'ora e mezzo il quadro cambia completamente. E' partito l'incendio che dalla zona de «la Mentuccia» ha attaccato Monte Giano e per gli agenti forestali è partito da lì, dallo spiazzo di via Regina Margherita. In effetti il fuoco ha lasciato una traccia netta, dal caldaio al costone.
Quello che Giovantino non si spiega è come abbia potuto riprendere ad ardere. E metro dopo metro, «attraversare» il nastro d'asfalto della Salaria per L'Aquila e aggredire Monte Giano. A bordo strada c'è ancora il bidone azzurro pieno d'acqua usato per smorzare il fuoco prima di andarsene. Non è bastato. Così come non basta a Giovantino, chiuso in casa da martedì, la visita del sindaco Guerrieri e di altri amici che con lui condividono questa vicenda come fosse un lutto. E come per un lutto, spera che col tempo passi anche la pena.
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