Rieti, le giornate reatine del giudice Giovanni Falcone

Giovanni Falcone
di Massimo Cavoli
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Mercoledì 24 Maggio 2023, 00:10

RIETI - «Non amava inutili sceneggiate, Falcone era una persona perbene, precisa, amante della discrezione, e agli uomini della scorta, garantita da personale della squadra mobile e dell’Ucigos di Rieti che lo prelevava dai colleghi romani sulla Salaria, aveva anche chiesto di non usare lampeggianti e sirene quando il corteo delle macchine entrava a Rieti, per raggiungere il carcere di Santa Scolastica. Aveva un modo di comportarsi molto affabile e questo ha lasciato in tutti quelli che lo hanno conosciuto durante le sue visite un’immagine incancellabile». Il ricordo del giudice ucciso dalla mafia trentuno anni fa, il 23 maggio 1992, nella strage di Capaci dove persero la vita anche la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta, è di Enzo Di Blasio, direttore della casa circondariale reatina e con incarichi rilevanti ricoperti a livello ministeriale, scomparso due anni fa, e richiama quello che per la città è stato un periodo da custodire e ricordare, ma del quale erano a conoscenza solo gli apparati giudiziari.

La storia. A Rieti, Giovanni Falcone venne per alcuni mesi tra il 1984 e il 1985, dormendo in una stanza appositamente allestita per lui all’interno del carcere di via Terenzio Varrone, dove interrogava Antonino Calderone, uno dei collaboratori di giustizia trasferito in tutta segretezza a Rieti, dopo essere sfuggito a un attentato nel carcere di Marsiglia, che con le sue rivelazioni, insieme a quelle di Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno e Marino Mannoia, consentì al magistrato di istruire a Palermo, nel 1986, il maxi processo a Cosa Nostra con 476 imputati. «Il fatto che avesse scelto di dormire dentro il carcere creò un certo imbarazzo tra gli agenti, che non erano abituati a convivere con un personaggio del genere, imbarazzo che però durò molto poco.

Al mattino si alzava alle quattro per rileggere i verbali del giorno prima e per radersi la barba usava il bagno del personale. Poi, chi era di turno di notte gli preparava caffè in abbondanza, quindi leggeva i giornali che gli portavo io verso le 8 e dopo la colazione riprendeva l’interrogatorio di Calderone»: è uno dei momenti richiamati da Di Blasio, il suo angelo custode durante la permanenza reatina.

L'incarico. Per assicurare al collaboratore un difensore, Falcone ottenne che l’incarico fosse affidato al presidente dell’ordine locale degli avvocati, che era Giovanni Vespaziani, diventato poi il suo avvocato di fiducia in tanti processi celebrati in Sicilia. Sono pochi i reatini che hanno avuto il privilegio in quei mesi di incontrare il magistrato nelle sue rare uscite, tra questi c’è il ristoratore Luciano Marinetti, che se lo vide piombare al Calice D’Oro, circondato dalla scorta, per una cena senza preavviso, e il commerciante di tappeti Roberto Scognamiglio, nel cui negozio “Tapis Volant” che si affacciava davanti al tribunale, il giudice acquistò un regalo per la moglie. Spezzoni di una presenza importante, richiamata nel 2013 anche da Giuseppe Ayala, il pm che sostenne l’accusa al maxi processo, intervenuto a una manifestazione al teatro Flavio Vespasiano: «Calderone consentì di fare luce su atroci delitti di mafia e fu determinante per ricostruire tanti retroscena di Cosa Nostra, io stesso qualche volta partecipai agli interrogatori a Santa Scolastica condotti dal mio amico Giovanni».

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