In precedenza, lo stesso Riesame aveva disposto la remissione in libertà di Abbina e Tagliente perché non ricorrevano gli estremi per la custodia cautelare, rilevati invece dal giudice delle indagini preliminari di Roma, Maurizio Arcuri, sostanziati nell'accusa di aver favorito Carmelo Bisognano, un pentito appartenente a un clan mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia, trasferito a Rieti dopo le rivelazioni fatte alla magistratura siciliana sull’attività dei suoi complici. Bisognano, a sua volta, era finito invece direttamente in carcere, a Rebibbia.
Secondo l’indagine, i tre uomini dell’Arma assegnati alla protezione del boss, avevano consultato più volte il sistema informatico per identificare, attraverso le targhe delle auto, chi frequentava l’ex compagna di Bisognano e, in particolare, la loro figlia. Accessi per i quali i carabinieri non hanno conseguito alcun vantaggio personale nè altre utilità, come accertato dalle indagini della procura, ma giustificati per ragioni legate alla sicurezza del collaboratore di giustizia chiamato, periodicamente, a recarsi in Sicilia per partecipare ai processi in veste di testimone. L’indagine era stata avviata nel 2016 dalla procura antimafia di Messina – fascicolo poi trasferito per competenza a Rieti dove viveva il pentito - che aveva indagato a piede libero i militari, contestandogli di avere avuto con il pentito “un comportamento troppo confidenziale”, ma senza rilevare nei loro confronti elementi di gravità tale da giustificarne l’arresto. E, comunque, come ribadito dall’avvocato Patarini, si era trattato di azioni caratterizzate da assoluta buona fede e non certo finalizzate a favorire Bisognano, venendo meno ai propri doveri.
© RIPRODUZIONE RISERVATA