La quinta palazzina di Campomoro:
dopo sei anni di indagine chieste
sette assoluzioni per tenuità del fatto
restano però fuori la Rinaldi e Vagni

La quinta palazzina di Campomoro: dopo sei anni di indagine chieste sette assoluzioni per tenuità del fatto restano però fuori la Rinaldi e Vagni
2 Minuti di Lettura
Venerdì 11 Maggio 2018, 07:59 - Ultimo aggiornamento: 14:05
RIETI - I passaggi urbanistici che hanno accompagnato la progettata costruzione della quinta palazzina di via Belvedere, a Campomoro - combattuta dai residenti della zona con denunce penali e ricorsi amministrativi – hanno presentato profili di dolo e illeicità ma, alla resa dei conti, non sufficienti da motivare la richiesta di condanna dei presunti responsabili.

LA REQUISITORIA
E’ l’esito della requisitoria con la quale il pubblico ministero Lorenzo Francia ha sintetizzato sei anni di indagini, perizie e un lungo processo nato da un’inchiesta archiviata e poi riaperta in seguito al rinnovo del permesso per costruire, rilasciato nel 2007 dall’ufficio Urbanistica del Comune e considerato illegittimo – ma non sul piano amministrativo dal Tar e dal Consiglio di Stato - chiedendo l’assoluzione per «la particolare tenuità del fatto» di due dei nove imputati rinviati a giudizio.

FORMULA BENEVOLA
Formula benevola, introdotta dal codice nel 2015, in prevalenza applicata per piccoli furti, truffe di lieve entità e altri reati di limitata offensività, che ha trovato applicazione nella vicenda in cui l’ex dirigente dell’urbanistica Manuela Rinaldi, il geometra comunale Luciano Vagni, il tecnico istruttore Alessandro Paolucci, i fratelli Emiliano ed Emanuele Fagiani (autori del progetto), Vincenzo Strinati (amministratore della società Alfabelvedere, proprietaria del lotto incriminato poi venduto per 500 mila euro alla Immobiliare Oram degli imprenditori Roberto Colapicchioni e Maurizio Quintili), sono accusati di abuso d’ufficio per il rilascio della concessione necessaria alla costruzione della palazzina. Esclusi Rinaldi e Vagni, per gli altri coimputati il pm ha sollecitato l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» o «non costituisce reato», e la prescrizione per le contravvenzioni edilizie.

LE DIFESE DEGLI IMPUTATI
Le difese la considerano una mezza vittoria, in attesa della sentenza del tribunale prevista per luglio, e la dimostrazione per gli avvocati Cristina Rosati, Andrea Vella, Antonio e Federico Belloni, Mariella Cari e Anna Maria Barbante, che nessun abuso è stato commesso a Campomoro, dove l’accusa ha sostenuto che una piccola superficie (alcuni metri) di una particella catastale interessata dall’intervento ricadeva in zona boscata (il perito Antonio Pilati che aveva certificato l’inesistenza del vincolo deve rispondere di falso, ma anche per lui è stata chiesta l’assoluzione) e per costruirci occorreva l’autorizzazione della Regione, risultata mancante.

Area in cui, peraltro, la Oram aveva rinunciato a realizzare un portico in superficie, limitandosi a progettare dei garage interrati senza cubatura esterna, ma secondo la procura sarebbe stata necessaria ugualmente l’approvazione di un progetto da parte del Comune. Processo in cui le consulenze non hanno contribuito a fare completa chiarezza sui diversi aspetti (la perizia del tecnico incaricato dal gip ha comunque escluso l’esistenza dell’area boscata), come neppure le testimonianze rese in aula da chi condusse le indagini. Alla fine, verrebbe da dire, tanto rumore per nulla. Si saprà tra due mesi.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA