Rieti, morì per le esalazioni nella casa di cura a Borgorose: una condanna e due assoluzioni

I soccorsi nel gennaio 2016
di Emanuele Faraone
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Domenica 2 Luglio 2023, 00:10

RIETI - Primo grado di giudizio che termina con una condanna e due assoluzioni nel processo sulla morte di Maria Cristina Salvatore, l’anziana deceduta nel sonno, nella casa di cura “Padre Pio” di Borgorose, a causa di esalazioni accidentali di monossido di carbonio che le furono letali. In quella circostanza - era il gennaio del 2016 - oltre 20 ospiti (più due operatori sanitari) risultarono intossicati.
Il tribunale di Rieti (giudice monocratico Carlo Sabatini) ha condannato a sei mesi di reclusione (pena sospesa) il titolare della società che gestiva la casa di cura, Claudio Tamburrino, e ha assolto (per non aver commesso il fatto) Luciano Sciabordi, legale rappresentante della società deputata allo smaltimento fumi e pulizia della caldaia. Assolto (perché il fatto non sussiste) Donato Panatta, legale rappresentante dell’azienda che, materialmente, installò la caldaia. Contestualmente è stata condannata al risarcimento del danno - da definire e liquidarsi in separata sede civile - la società assicurativa. in qualità di responsabile civile. Ai tre imputanti venivano contestati, in concorso, i reati di omicidio colposo e lesioni, scaturiti da una serie di azioni sia commissive che omissive consistite in colpa, negligenza e imperizia.

La ricostruzione. Secondo la ricostruzione della Procura reatina, a causare la morte nel sonno per avvelenamento della 78enne, originaria di Viticuso, in provincia di Frosinone, furono le esalazioni di monossido di carbonio sprigionate dal malfunzionamento interno alla camera di bruciatura della caldaia.

Tra le contestazioni rilevate dalla pubblica accusa, l’omissione dei controlli periodici della caldaia, una inidonea e non corretta pulizia della conduttura di scarico, un mancato ruolo di supervisione e responsabilità del titolare della ditta. Sotto la lente della Procura finirono tutti gli aspetti manutentivi della caldaia esterna e, in particolare, di alcune parti, considerate più a rischio, come la camera di combustione, la guarnizione di tenuta, i ventilatori e gli elettrodi, oltre alla sua pulizia generale nonché l’insufficiente inclinazione dei tubi (in pendenza negativa) che avrebbe causato depositi e quindi una parziale occlusione della tubazione dovuta a residui di fuliggine che generarono una cattiva e incompleta combustione in carenza di ossigeno.

I rilievi. Inoltre era stato rilevato il distacco della sonda elettronica di controllo dei fumi, in modo tale che la caldaia funzionasse solo in modalità manuale, proprio per evitare e aggirare l’eventuale blocco di sicurezza. Il diametro del canale da fumo era di 180 millimetri anziché di 200 come prescritto, aggravando così l’impatto del malfunzionamento. A ciò si sarebbe andata ad aggiungere la contropendenza del canale che favorì il deposito di residui incombusti e fuliggine. Al momento del tragico evento il fumo - come evidenziato anche dal consulente tecnico - «sostanzialmente uscì da dove, al contrario, doveva entrare l’aria con un evidente difetto di esercizio».
Il tribunale di Rieti ha riconosciuto responsabilità penali solo a carico di Tamburrino, assolvendo - in accoglimento delle tesi delle difese - Sciabordi e Panatta (assistiti, rispettivamente, dai legali di fiducia Simona Pettine del foro di Rieti e Antonella Benveduti-Michele Pontecorvo). Fu un’operazione di soccorso particolarmente complessa e delicata che, oltre all’intervento dei sanitari del 118 con sette ambulanze, un’automedica e due pulmini per i pazienti in codice verde, vide in campo vigili del fuoco, carabinieri della stazione di Borgorose e del comando compagnia di Cittaducale oltre agli esperti del Nas di Viterbo, polizia locale e gli ispettori del servizio igiene e prevenzione dell’Asl di Rieti. Alcuni ospiti finirono anche in camera iperbarica.

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