Morte nella casa di riposo di Borgorose, sotto accusa la caldaia che funzionava male. Tre gli imputati alla sbarra

Morte nella casa di riposo di Borgorose, sotto accusa la caldaia che funzionava male. Tre gli imputati alla sbarra
di Emanuele Faraone
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Venerdì 13 Gennaio 2023, 00:10

RIETI - Secondo il consulente tecnico di parte civile, fu il malfunzionamento della caldaia (cattiva e incompleta combustione) più una serie di concause, a determinare l’avvelenamento da monossido di carbonio e poi il decesso della 78enne, Maria Caterina Salvatore, ospite della casa di riposo “Padre Pio, cura e tutela dell’anziano” di Borgorose. In aula, il consulente di parte civile, l’ingegner Giuseppe Visone, ha esposto, davanti al giudice monocratico Carlo Sabatini, l’esito della propria relazione tecnica, in merito alla drammatica vicenda del gennaio 2016.

I passaggi. Il malfunzionamento della caldaia causò, inoltre, l’intossicazione di 20 persone più di due operatori sanitari. «L’impianto funzionava male, producendo una cattiva combustione, peraltro in carenza di ossigeno - ha spiegato l’ingegnere - tanto è vero che, per permettere il funzionamento della caldaia, veniva lasciata aperta la porta della centrale termica, per favorire il passaggio ossigeno».

Riscontrate altre anomalie: «Si riscontravano irregolarità nonostante la dichiarata conformità, nonché l’assenza di un progetto o di uno schema costruttivo con valore di progetto - prosegue l’ingegner Visone - e poi difformità in fase di installazione: i canali di evacuazione dei fumi presentavano anomalie, causando formazione di residui di fuliggine. Omessi anche i controlli di sicurezza. Inoltre vi era il distacco della sonda elettronica di controllo dei fumi, in modo tale che la caldaia funzionasse solo in modalità manuale, proprio per evitare e aggirare l’eventuale blocco di sicurezza. E poi il diametro del canale da fumo era di 180 millimetri anziché di 200, come prescritto, aggravando così l’impatto del malfunzionamento. A ciò si aggiunge la contropendenza del canale che favorì il deposito di residui e fuliggine».

Un impianto - secondo il consulente - che doveva essere «fermato» e che sprigionò quella nube di fumo tossico, che poi penetrò nella stanza dove alloggiava l’anziana, provocandone la morte sotto l’azione di una fuoriuscita protratta.

L’approfondimento. Ulteriore approfondimento dall’ingegnere meccanico Emanuele Habib, (esperto in progettazione di impianti di climatizzazione) e consulente tecnico di uno degli imputati, che dopo la descrizione tecnica della caldaia a biomassa ha rappresentato il cuore del presunto malfunzionamento: «Il canale da fumo era pieno di cenere e con depositi di fuliggine, quasi completamente ostruito. Al momento del tragico evento, il fumo, sostanzialmente, uscì da dove, al contrario, doveva entrare l’aria. Ci fu un difetto evidente di esercizio. L’uscita fumi della caldaia era in pendenza negativa, quindi i fumi dovevano scendere e ciò comportò rallentamenti nella fuoriuscita, con il deposito di fuliggine e prodotti incombusti. Particelle che si fossero depositate con una pendenza corretta non avrebbero causato depositi e quindi occlusione».

Gli imputati. Tre gli imputati per quella tragica vicenda: Claudio Tamburrini, legale rappresentante della Cooperativa che gestiva la Casa di riposo (assistito dall’avvocato Luigi Pecoraro), Luciano Sciabordini, titolare della ditta incaricata (difeso dall’avvocatessa Simona Pettine del foro di Rieti) e Donato Panatta, manutentore della caldaia (avvocati Michele Pontecorvo e Antonella Benveduti). Per loro le accuse sono di omicidio colposo e lesioni, poiché «attraverso condotte indipendenti, per colpa, negligenza e imperizia, avrebbero cagionato la morte dell’anziana». La donna era originaria di Viticuso, in provincia di Frosinone. A nulla servirono i soccorsi che videro in campo un enorme dispiegamento di uomini e mezzi.

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