Bambino colpito da un'infezione
in ospedale, sarà risarcito

L'ingresso dell'ospedale pediatrico
di Massimo Cavoli
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Domenica 26 Gennaio 2014, 19:22 - Ultimo aggiornamento: 23:23
RIETI - Ha contratto in sala operatoria l’infezione che oggi lo ha ridotto in uno stato di grave disabilit fisica e neurologica. Per questo, l’ospedale romano Bambin Gesù, a conclusione di una causa condotta dall’avvocato Antonino Rera, del foro di Rieti, è stato condannato a risarcire 2 milioni e 200 mila euro ai genitori di un bambino per i danni causati da quello che la tredicesima sezione civile del tribunale di Roma (giudice Maria Lavinia Fanelli) ha definito come conseguenza del mancato adempimento degli obblighi regolamentari per la prevenzione del rischio infettivo.

Il bambino, affetto dalla nascita dalla sindrome di Aper e per questo già sottoposto ad alcuni interventi, era stato operato nel 2006 al cranio e durante la permanenza in ospedale - come ricostruito nella relazione del consulente tecnico d’ufficio - era stato colpito da un’infezione di natura ospedaliera, non diagnosticata e trattata tempestivamente, per cui il ritardo aveva finito per provocargli paraplegia, incontinenza, crisi comiziali ed epilettiche. Conclusioni che il Bambin Gesù aveva contestato, parlando invece di un piccolo paziente le cui condizioni, proprio a causa della sindrome di cui soffriva, risultavano già compromesse nel momento in cui fu operato e non c’era prova dell’infezione contratta in ospedale. La tesi non ha trovato riscontro nell’esame della cartella clinica nella quale, al momento del ricovero, risultava che il bambino non presentava alcun disagio mentale, era tranquillo in vista dell’intervento e interagiva perfettamente con gli altri. Secondo il tribunale, è stato accertato che la patologia infettiva è insorta immediatamente nella fase post operatoria ed è emerso che il paziente non era stato sottoposto ad alcuna profilassi antibiotica prima di entrare in sala operatoria. L’ospedale si è difeso affermando, in una relazione inviata ai genitori, di aver somministrato la terapia per dieci giorni non appena conclusa l’operazione, ma la circostanza è stata smentita dall’assenza delle schede cliniche giornaliere. La relazione, scrive il giudice, invece ha dimostrato esattamente il contrario: l’infezione fu diagnosticata solo cinque giorni dopo, troppo tardi per scongiurare le gravi conseguenze riportate dal piccolo.
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