Legge elettorale, ecco con quale sistema si voterà

Legge elettorale, ecco con quale sistema si voterà
di Diodato Pirone
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Giovedì 26 Gennaio 2017, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 07:55
D ue sistemi proporzionali, uno per la Camera e l’altro per il Senato. Con differenze tra loro non irrilevanti, a partire dal premio di maggioranza solo per Montecitorio seppur con una soglia (il 40%) difficilmente realizzabile. Ecco la fotografia del sistema elettorale all’indomani della sentenza della Consulta sull’Italicum. Il “vecchio” esperto di leggi e leggine elettorali Peppino Calderisi, una vita con Pannella e Berlusconi e ora centrista, scatta questo flash: «Siamo alla schizofrenia: alla Camera c’è il premio di maggioranza ma senza coalizione e al Senato c’è la coalizione ma senza il premio dimaggioranza». Ma a Calderisi è contrario alle “urne subito” e dunque guarda al vuoto del bicchiere. Gli altri, invece, e in particolare i renziani - sia pure in un contesto proporzionale che prepara governi di coalizione decisi dopo le elezioni - leggono la stringata sentenza di ieri della Corte Costituzionale come un buon trampolino per le proprie fortune elettorali. A Berlusconi, invece, ma anche ai partiti di media e piccola stazza, dai leghisti ai centristi, il combinato disposto delle due sentenze della Corte riserva carte meno brillanti.

AGUZZA LA VISTA
Perché? Iniziamo dalle fondamenta: qual è la principale differenza fra le due leggi elettorali? La bocciatura del ballottaggio previsto dall’Italicum, ha reso entrambe le leggi proporzionali ma non pure. Al Senato per via delle soglie di sbarramento, alla Camera per il premio di maggioranza che scatta per la lista che supera il 40% dei voti assicurandole 340 deputati (il 54% del totale). E’ una soglia altissima che nelle ultime politiche nessun partito dei principali paesi europei ha raggiunto. Tuttavia questo principio “maggioritario” consente al Pd di Renzi e ai 5Stelle di Grillo di disporre di una calamita per qualche alleanza elettorale (ad esempio per Renzi con la sinistra dell’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia) e soprattutto per attirare elettori verso la propria piattaforma. Il “miraggio” del 40%, infatti, sembra al momento raggiungibile solo da queste due forze. Lo spezzone di maggioritario rimasto sul palcoscenico italiano invece non pare poter funzionare né per Berlusconi se si presentasse da solo (oggi Forza Italia è accreditata del 12/14% dei voti) né in caso di accordo elettorale che darebbe vita ad un’unica lista di un centro-destra fermo sotto il 30%. Per la verità i sistemi proporzionali emersi ieri rendono più credibili due possibili maggioranze inedite per la prossima legislatura: una fra Pd e Forza Italia alternativa a quella fra 5Stelle e Lega. Ma capire ora quali saranno i rapporti di forza fra i due assi e al loro interno appare francamente impossibile. Anche perché la calamita del 40% non esiste al Senato dove non c’è premio. Ma questo non è il solo freno “proporzionalista”. Alla Camera ad esempio la distribuzione dei seggi nei vari collegi (che sono 100) avviene su base nazionale escludendo dal conteggio le liste che non superano il 3% dei voti. Al Senato, invece, gli spezzoni di Porcellum sopravvissuti prevedono non solo una distribuzione proporzionale dei seggi su base regionale ma con ben tre soglie di sbarramento: 20% per una coalizione; 8% per ogni singola lista e 3% per i partiti presenti nelle coalizioni. Un meccanismo che sta creando non poche preoccupazioni nel centrodestra. Il proporzionale, si sa, spinge a presentarsi ognuno per proprio conto.Ma se Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia per il Senato si presentassero separatamente ovunque, in alcune Regioni potrebbero non superare la soglia dell’8% al Senato.

CAPILISTA BLOCCATI
Tutto questo senza considerare l’enorme differenza fra le schede elettorali di Camera e Senato. Un elettore del Lazio, ad esempio, dovrebbe scegliere per il suo microcollegio della Camera in un elenco di 6 o 7 candidati elencati sotto il simbolo del suo partito. Per il Senato, invece, gli elettori dovrebbero poter scegliere fra 27 nomi (tanti sono i senatori eletti nel Lazio) per ogni partito. A complicare la vita all’elettore poi ci sono due tipi di preferenze diverse: alla Camera se ne possono dare due (alternando uomo/- donna), al Senato una sola. La sentenza di ieri della Consulta ha poi finito per offrire un’altra arma nelle mani di Matteo Renzi e degli altri segretari di partito: la conferma dei capilista bloccati alla Camera. Per Renzi e Grillo si tratta di una leva enorme poiché possono nominare 100 deputati ognuno (uno per ogni collegio). Al Senato, invece, i capilista non sono “bloccati”. Diventa senatore solo chi prende più voti di preferenza. Tutto questo se non dovesse cambiare nulla. Se invece i partiti troveranno un accordo per dare vita ad una legge elettorale unica gli scenari più accreditati danno il “trasferimento” dell’attuale legge della Camera anche al Senato oppure l’innesto delle coalizioni nei meccanismi elettivi della Camera. 
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