Unioni civili/Svolta italiana, integralisti ko

di Massimo Teodori
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Giovedì 12 Maggio 2016, 00:05
Dopo oltre vent’anni di proposte andate a vuoto, il parlamento ha finalmente disciplinato le unioni civili riuscendo laddove vecchie maggioranze di destra, centro e sinistra avevano fallito. Del risultato ottenuto con un voto di fiducia, resosi purtroppo necessario dopo una serie di dibattiti alla Camera e in Senato, va dato merito al presidente del consiglio Matteo Renzi e al ministro Elena Boschi che si sono impegnati per concludere una storia che si sarebbe trascinata nel tempo a scapito della credibilità istituzionale.

Milioni di cittadini italiani hanno a lungo atteso questa conclusione, non già per trasgredire le convenzioni sociali, ma per mettere in regola le proprie scelte personali con la legge dello Stato senza recare danno ad altri. Così l’Italia si è allineata a gran parte degli Stati europei in cui il diritto a vedere riconosciuto lo stile di vita individuale eterosessuale od omosessuali è da tempo disciplinato dai diritti e doveri iscritti nelle leggi valide per tutti. 

La disciplina ora approvata non è certo la migliore ma, per quanto imperfetta, è sempre meglio della mancanza del vuoto legislativo. L’Italia continua ad avere il record della lentocrazia. Dopo avere atteso anni che il Parlamento facesse il suo dovere, ora si resta in attesa delle norme attuative che devono essere vagliate da diversi ministeri mentre dovrebbero entrare in vigore le norme transitorie. Quindi, oltre ai pareri della Corte dei conti e del Consiglio di Stato, occorre che il presidente della Repubblica firmi entro un mese la legge votata in parlamento. 
La legge è composta da una parte sulle unioni civili che riguarda i diritti patrimoniali, ereditari e i doveri “tra persone dello stesso sesso”, e una parte sulla disciplina delle “convivenze di fatto tra eterosessuali” che regolamenta questioni amministrative nelle coppie di uomo e donna. Resta esclusa l’adozioni dei figliastri, cioè dei figli di un partner biologico – la cosiddetta stepchild adoption-, esclusione che avrà l’effetto di lasciare ampio spazio alle decisioni discrezionali della magistratura al posto delle norme dettate dal legislatore. 
 
Il confronto che si chiude oggi non è tra laici e cattolici, come impropriamente qualcuno afferma. Le argomentazioni pro o contro le unioni civili hanno un’origine diversa dal credo e dal non credo religioso. Da un lato la legge è stata chiesta da quei cittadini per i quali in una società liberale ben organizzata il diritto dell’individuo a intrattenere i rapporti personali ed a scegliere come vivere e morire non può essere imposto da un’entità esterna, Stato o Chiesa che sia. Dall’altro lato, si sono opposti alle coppie di fatto quegli integralisti per i quali la legge suprema che deve regolare la vita degli individui è la proibizione di tutto ciò che essi ritengono non conforme alle loro idee morali e religiose. L’integralismo religioso e moralistico è l’anticamera che conduce al totalitarismo, rosso, nero o bianco che sia. 
Perciò suscitano meraviglia i pronunciamenti di quegli esponenti della Chiesa romana, ieri del presidente della Cei cardinal Bagnasco, oggi di monsignor Galantino e altri insigni prelati che paiono non solo mancare di pietas verso i diversi ma anche di restare sordi alle pur timide aperture di papa Francesco. Non c’è dubbio che la Chiesa abbia il diritto di indicare la retta via ai suoi fedeli ammonendoli a non divorziare, non abortire, e non formare le coppie di fatto, ma è altrettanto indubbio che gli ecclesiastici con alte responsabilità, anche concordatarie, non possono intimare al legislatore di bloccare la formulazione di leggi che riguardano l’intera popolazione in cui coesistono tanti modi di pensare e agire quante sono le idee personali. 
Alcuni oppositori delle unioni civili insieme al leader del Family Day hanno annunziato di voler chiedere un referendum abrogativo. Forse dovrebbero meditare la lezione del referendum sul divorzio che si tenne in una società molto meno secolarizzata dell’attuale. Richiesto dagli attivisti clericali e fatto proprio dal segretario della Dc Amintore Fanfani, il referendum del 12 maggio 1974 diede il clamoroso risultato di quasi il 60% dei voti a favore della legge sul divorzio votata in parlamento da un’esigua maggioranza laica a cui si erano uniti i comunisti contro la Dc e il Msi, partigiani dell’abrogazione.
 
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