Il Sud da risanare/ Scommessa per superare mezzo secolo di fallimenti

di Oscar Giannino
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Giovedì 7 Aprile 2016, 00:15
Quel che è avvenuto ieri a Napoli deve fare molto riflettere. Perché ha una portata non solo napoletana, ma nazionale. C’è un governo che si presenta col suo premier a Napoli per la prima riunione in vista del piano di bonifica integrale dei 230 ettari dell’ex area Italsider a Bagnoli. Che ha stanziato per questo 272 milioni di euro. Che apre il 14 aprile la conferenza dei servizi, per consentire l’ascolto di tutti gli Enti Locali e le diverse espressioni del territorio, a cominciare da Comune di Napoli e Regione Campania. Con una data certa entro la quale chiuderne i lavori, un mese, per procedere poi all’avvio delle bonifiche e dei nuovi progetti, messi a punto sinora da Invitalia con il commissario Salvo Nastasi. 

Eppure, di fronte a questo, la reazione del sindaco De Magistris e della sua giunta è, come preannunciato, di chiusura totale. Nessuna partecipazione alla cabina di regia. Due assessori anzi hanno preferito partecipare alle manifestazioni di piazza, sfociate poi in scontri con 15 agenti feriti. Il progetto del governo viene considerato dalla giunta un arbitrio illegale. 

Malgrado il giudice amministrativo abbia pienamente rigettato l’impugnativa presentata dal Comune contro l’articolo dello “Sblocca-Italia” che ha avviato il progetto di bonifica. Per carità, si può dissentire su tutto. Ma l’amministrazione napoletana che respinge financo il confronto, e preferisce manifestazioni che diventano scontri di piazza, non manifesta un legittimo dissenso politico. 

 

Rischia invece di alimentare, come istituzione municipale, un’atmosfera che sembra evocare una vera e propria guerra civile. Ci sono tre punti almeno su cui riflettere. E’ un esproprio nazionale delle competenze napoletane? C’è un’alternativa percorribile e migliore? E questa scelta, riguarda davvero solo Napoli, oppure ha un carattere nazionale? 

La risposta alla prima domanda discende dalla storia. Lo stabilimento Italsider nasce nel 1905. La crisi delle sue diverse produzioni data alla fine degli anni Sessanta. Il piano regolatore di Napoli del 1972 comprende il primo progetto per la deindustrializzazione dell’area. Che in realtà vedrà la luce solo in una variante al piano regolatore approvata 24 anni dopo, nel 1996, quando gli stabilimenti hanno cessato da anni la produzione. La Bagnoli spa del Comune di Napoli aspetterà il 2006 per lanciare il concorso internazionale per i progetti di un parco urbano, un parco dello sport, il polo tecnologico dell’ambiente, e un’area ricettiva per il progetto di porto-canale. Ma tutto s’ingolfa. La vendita delle aree per la realizzazione dei progetti, mentre gli anni passano, vede gli operatori non credere più alle promesse. Le aste vanno deserte. Le opere intraprese restano interrotte. Nel 2013 Bagnoli Futura è morta, i carabinieri sequestrano le aree e l’ipotesi è il disastro ambientale. A metà 2014 la Bagnoli spa è dichiarata fallita dal Tribunale. I fatti parlano chiaro: dal 1972 al 2016 sono passati la bellezza di 44 anni. E Napoli e la Campania da sole non ce l’hanno fatta. Ergo quello odierno non è un esproprio, ma la via da percorrere per affrontare e guarire nazionalmente un bubbone pluridecennale.

L’alternativa al progetto del governo, con tutto il rispetto per le 60 slide presentate mesi fa dal sindaco De Magistris, non c’è. Non solo perché Napoli non ha le risorse finanziarie da destinare a un progetto di ristrutturazione urbana di simile portata. Ma perché a questo punto il significato da annettere all’intervento è quello di un vero e proprio riscatto non solo per Napoli, ma per l’intero Mezzogiorno e per tutto il Paese. Renzi parla con l’enfasi che lo contraddistingue. Ma quando ieri il premier ha detto che «ci sono 272 milioni di euro per la ripulitura di Bagnoli, sono i denari che servono a Bagnoli per tornare in mano ai napoletani, a Napoli per essere capitale del Mezzogiorno e all'Italia di essere una nazione degna del futuro», le sue sono state parole ben dette.

Tornare da Posillipo a Nisida alla linea di costa del 1905, realizzare il porto turistico e lo stadio della vela, rilanciare la Città della scienza, rimuovere quell’orrendo ecomostro rappresentato dalla grande colmata di cemento, valorizzare l’intera area senza aumentare, anzi riducendo, le cubature edilizie previste anni fa per il residenziale e il commerciale e aumentando quelle destinate a servizi. Fare tutto questo entro il 2019, in vista delle Universiadi che Napoli ospiterà. Con norme rigorose anti corruzione e anticamorra, su cui l’Anac di Cantone è già impegnata. Che cosa c’è di irrimediabilmente sbagliato in tutto questo, tanto da contrapporvisi come se si trattasse di un’invasione aliena? Come si può davvero respingere un progetto che finalmente si assume la responsabilità di fare della maggiore area metropolitana del Sud un banco di prova non nazionale ma europeo, per uno dei più grandi progetti di risanamento su scala continentale?

Se la scommessa a Napoli sarà vinta, davvero e senza retorica un pezzo fondamentale del rilancio italiano e del Sud sarà stato avviato. Il tempo e il modo per discutere e obiettare c’è. Quello che però non va persa, è l’occasione storica di riparare a 44 anni di fallimenti e declino. Non bisogna farlo sbattendo i tacchi. Ma bisogna crederci intensamente, per costruire insieme una nuova identità che sostituisca quella amaramente descritta nella canzone di Edoardo Bennato, “Vendo Bagnoli”, che già nel 1989 esprimeva tutta la disillusione dei napoletani ai progetti di risanamento. Ed era il 1989: 27 anni fa, trascorsi invano. 
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