Oltre il ddl Boschi/ Tutte le riforme che il Paese ancora aspetta

di Oscar Giannino
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Giovedì 14 Aprile 2016, 00:04
A giudicare dalle cronache politiche di questi giorni, è come se il referendum sulle trivelle di domenica prossima e soprattutto quello in autunno sulla riforma della Costituzione, oltre alla tornata amministrativa intermedia a giugno, costituissero i banchi di prova finali e decisivi dell’attuale legislatura. Per molti versi, anche da ambienti del governo sembra trasparire una crescente propensione a regolare il conto generale degli equilibri politici attraverso elezioni anticipate, entro metà del 2017. Diciamolo: è una tentazione sbagliata. 
La storia italiana porta ovviamente a ritenere che la politica ricorra al voto anticipato non solo tutte le volte che diventi necessario, ma talora anche quando venga stimato conveniente. È vero che la stabilità del governo potrebbe essere messa a serio rischio, se il referendum istituzionale presentato come un plebiscito del sì o no a Renzi dovesse avere un esito negativo. Ma se consideriamo gli interessi del Paese, è decisamente meglio evitare che il referendum diventi altro che un giudizio di merito sulle nuove norme costituzionali. Il rischio già molto forte è che l’Europa intera accresca la sua instabilità complessiva, se al referendum britannico sull’Unione Europea dovesse vincere la tesi di uscirne. 
 
La Spagna deve con ogni probabilità rivotare. La crisi greca sobbolle sempre minacciosa. Seguirebbero in futuro le elezioni francesi e tedesche. Schengen va in pezzi giorno dopo giorno. Aggiungere instabilità italiana a quella europea significherebbe tornare pericolosamente a esporci di nuovo a forti rischi sui mercati. Ma l’argomento vale ancor più se guardiamo alla lista delle riforme che restano da fare. Non è affatto vero che la riforma costituzionale e il Jobs Act siano l’equivalente di «abbiamo fatto i compiti a casa». Nessuno può sottovalutare che molte fondamentali priorità restano ancora irrisolte. E sono state indicate dal governo in carica, che per primo non può dimenticarsene. Giustizia, economia, politiche sociali, pubblica amministrazione, fisco: sono 5 capitoli su cui moltissimo resta da fare. Partiamo dal delicato fronte della giustizia. Tra i diversi provvedimenti pendenti, quello fondamentale è il disegno di legge recante modifiche alla normativa penale, sostanziale e processuale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi, già approvato dalla Camera e ora al Senato. È quello lo strumento giusto per la più che mai necessaria riforma della disciplina a tutela della privacy nel regime attuale delle intercettazioni. Su queste colonne lo ha già scritto molte volte il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio: le circolari di autodisciplina di alcune Procure non sono affatto la soluzione, occorre un nuovo testo normativo che impedisca lo scempio mediatico-giudiziario che continua ad avvenire. Le intercettazioni preventive che non hanno valore processuale devono restare nella cassaforte del pm, che deve rispondere personalmente della loro riservatezza. Quelle a strascico che coinvolgono soggetti neanche indagati non devono uscire dalla riservatezza. L’autonomia e l’indipendenza del magistrato non c’entrano con queste regole di civiltà. Se passiamo all’economia, ci sono tre interventi essenziali da definire. Il corpo di norme a favore della contrattazione di secondo livello delle imprese, al di là degli sgravi fiscali al salario di merito: perché questa è la via maestra per rilanciare la produttività italiana comparata, in declino da 20 anni. Il Jobs Act del lavoro autonomo, che finalmente dia parità di diritti sanitari e welfare a chi oggi è discriminato, e resta peraltro esposto ogni anno alla spada di Damocle dell’aumento di aliquote contributive alla gestione separata Inps. Nonché un testo organico d’indirizzo sulla revisione dei valori catastali, che rischia di tradursi altrimenti non solo in una nuova botta tributaria indiscriminata sulle tasche degli italiani, ma di frenare nuovamente l’intero comparto immobiliare con effetti generali a cascata sulla crescita complessiva italiana. Sul versante sociale, mancano due mattoni fondamentali: il più volte promesso Testo Unico della famiglia, per commisurare finalmente pretese fiscali e offerta di servizi dello Stato a vantaggio delle famiglie, e non contro come avviene da decenni; nonché un corpo complessivo di interventi per combattere la povertà. In materia di pubblica amministrazione, manca ancora l’approvazione di 11 decreti attuativi della riforma Madia: tra cui quelli essenziali delle modifiche in materia di licenziamenti pubblici, la riforma della dirigenza, il riordino delle partecipate locali. Ed è appena all’inizio l’opera di completamento – il Consiglio di Stato ne ha appena richiesto ben 60 importanti modifiche - e poi di complessa attuazione del nuovo Codice degli appalti e dei contratti pubblici. Quanto infine al fisco, ricordiamo che la promessa di interventi strutturali e generali di abbattimento delle aliquote, con effetti cioè universali fuori dalla logica discrezionale di identificare volta per volta i beneficiari di questo o quel bonus o detrazione o deduzione, sono sin qui stati tutti rinviati a 2017 e ’18, quando cioè sono stati promessi tagli generali a Ires e Irap per le imprese, e poi all’Irpef per le persone fisiche. Senza questi ultimi interventi, il quadro generale previsionale delle entrate vede ulteriori aumenti di entrate per oltre 70 miliardi di euro entro i prossimi 3 anni. Un peso che sarebbe insostenibile per l’Italia. Fermiamoci a queste sole priorità. Ce n’è più che abbastanza, come si vede, per evitare di considerare non solo terminato, ma neppure compiuto per la maggior parte l’enorme lavoro che resta ancora da fare.
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