Reato di negazionismo, i razzisti e il valore di una legge

di GIorgio Israel
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Venerdì 13 Febbraio 2015, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 11:16
Nessuno può seriamente svalutare la generosa intenzione morale che ha animato l’approvazione in Senato di un Disegno di legge che introduce e punisce il reato di negazionismo. Questo atto manifesta i sentimenti di rigetto dell’antisemitismo e del razzismo della nostra classe politica – peraltro autorevolmente ribaditi nel discorso di insediamento del Presidente della Repubblica. Le perplessità nascono in relazione all’efficacia e ai negativi effetti collaterali di una legge del genere.



Si dice che in tal modo l’Italia si allinea alla legislazione vigente in molti Paesi europei e recepisce una decisione quadro dell’Unione Europea. Il paradosso è che in molti di quei Paesi v’è assai più antisemitismo che non in Italia dove una simile legge finora non c’è stata. Il caso più clamoroso è quello della Francia, dove esistono strumenti giuridici pesanti per sanzionare il reato di negazionismo, il che non ha impedito il diffondersi di un antisemitismo tanto grave e diffuso da alimentare una crescente emigrazione ebraica verso lo Stato di Israele. In certi casi proibire non serve a nulla, o peggio.



È meglio consentire la pubblicazione di edizioni critiche del Mein Kampf di Hitler o affidare la sua inevitabile diffusione a scandalose “edizioni” in rete con commenti non meno scandalosi, che magari compaiono quanto basta per essere scaricate da migliaia di persone? Ritengo che la risposta debba essere che la prima soluzione è la migliore.



Occorre piuttosto chiedersi le ragioni del fallimento di queste leggi in quei Paesi, e della Giornata della memoria. La prima causa è dovuta al fatto che il canale principale di alimentazione dell’antisemitismo contemporaneo è l’antisionismo, il quale, a differenza del primo, è largamente tollerato e persino accanitamente difeso. Un’altra causa è legata al fatto che le manifestazioni per la Giornata della memoria sono cresciute a livelli esagerati, divenendo troppo spesso una passerella per autori che trovano così il modo di fare pubblicità al loro ultimo libro confezionato per l’occasione, tormentando una massa di giovani che - come hanno dimostrato recenti sondaggi - faticano a identificare la data della presa del potere di Hitler, se non a dire chi era costui.



Difatti, il vero problema è il crollo di un’educazione storica seria sostituita sempre più, nel migliore dei casi, da analogie vaghe e nel peggiore da proclami retorici. Sarebbe assai più efficace far conoscere a fondo, nel contesto di un programma scolastico rigoroso, cosa abbia rappresentato il caso Dreyfus o le forme successive di antisemitismo in Germania e in Italia, piuttosto che far retorica e introdurre strumenti punitivi. Si osserva giustamente che l’assenza di leggi punitive ha consentito e consente ad alcuni “docenti” di tenere scandalose lezioni negazioniste. Ma il vero scandalo è che, quando questi docenti sono stati deferiti agli organi di controllo per aver violato elementari principi di deontologia, sono stati assolti. Il male è quindi più profondo, alberga nelle menti, è là che deve essere sradicato, con la cultura, la diffusione dello spirito critico e l’uso della ragione, e non basta reprimerne le manifestazioni visibili.



Più voci hanno espresso il timore che si vada verso un regime in cui si stemperi il confine sottile tra libertà di opinione e di analisi storica critica. È un timore giustificato, perché proprio la sottigliezza di quel confine rischia di produrre conseguenze pericolose. Ma c’è ancor più da temere la grande ipocrisia che circola in Europa, consistente nel cavarsela di fronte ai problemi con editti improntati a una confusa e unilaterale ideologia “politicamente corretta” che ha il solo effetto di irregimentare le espressioni entro un pensiero unico troppo ipocrita per essere credibile. Ad esempio, occorre chiedersi quale governo europeo abbia alzato la voce - non preso provvedimenti concreti, ma almeno protestato - nei confronti del governo iraniano per aver bandito un concorso per la miglior vignetta antisemita. Eppure questi sono i canali più potenti che alimentano l’antisemitismo, che non può essere combattuto efficacemente mettendo in prigione qualche untorello di secondo piano.