Rai, per la presidenza l'ipotesi Sorgi. Ma c'è anche Palombelli

Rai, per la presidenza l'ipotesi Sorgi. Ma c'è anche Palombelli
di Alberto Gentili
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Mercoledì 5 Agosto 2015, 05:44 - Ultimo aggiornamento: 08:37
Rientrato nella notte dal Giappone, Matteo Renzi si è ritrovato davanti un muro di critiche e un nuovo strappo della minoranza del Pd. L'elezione del nuovo consiglio di amministrazione della Rai, che secondo i piani del premier doveva essere «una passeggiata», si sta rivelando un danno d'immagine. Con i nomi in quota Pd nel Cda criticati perfino dai renziani doc: «Non credevano di scendere così in basso, li abbiamo votati solo per carità di patria. La verità è che Matteo ha lasciato la palla agli altri e questi l'hanno gettata in tribuna», diceva a metà pomeriggio un renziano in Vigilanza. E un altro aggiungeva: «Per riscattarsi, per rispondere alle critiche, Matteo adesso dovrà fare un nome alto per la presidenza. Dovrà sparigliare».



«NOMI DI VALORE»

Sparigliare. E' questa la mission di oggi del premier e segretario del Pd che da Tokyo ha promesso «nomi autorevoli e competenti». Ma che ieri notte, durante uno scalo tecnico in Siberia, faceva sapere di «avere qualche idea, ma di non avere ancora deciso». Dovrà farlo però entro questa mattina quando, da palazzo Chigi e dal Tesoro, dovranno uscire il nuovo presidente e il nuovo direttore generale. Per il dg non dovrebbero esserci sorprese: si dà per certa la nomina di Antonio Campo Dall'Orso, un passato a Mtv e a La7. «E' un nome di altissimo valore che corrisponde ai criteri di qualità, autorevolezza, capacità. Un innovatore della tv», ha garantito il premier dal Giappone. Per il presidente invece, ancora ieri notte, la partita era in alto mare.



Il problema di Renzi è che non può decidere tutto da solo. In base alla legge, il nuovo presidente questa sera dovrà ottenere la maggioranza dei due-terzi dei quaranta componenti della Vigilanza. E visto che il Pd ha 22 voti (compresi tre esponenti della minoranza) per forza di cose è indispensabile un'intesa con Area Popolare e con Forza Italia o i Cinquestelle. «Stiamo lavorando a un accordo il più ampio possibile, su una personalità di garanzia e di alto profilo e forte competenza», diceva in serata il capogruppo alla Camera Ettore Rosato, «in grado di raccogliere il più ampio consenso possibile».



Impresa non facile. Perché Renzi non si fida dei Cinquestelle, che con il presidente della Vigilanza, il grillino Roberto Fico, ieri gli hanno dato del «buffone». E perché il premier è obbligato a fare i conti con Silvio Berlusconi che, a sua volta, non si fida di Renzi nonostante l'intenso lavoro diplomatico di Gianni Letta e Fedele Confalonieri. «Finirà come per il capo dello Stato, deciderà Renzi nella notte fregandosene delle nostre indicazioni. Tanto più che avere il controllo sulla Rai gli serve in vista della campagna elettorale...», diceva in serata un Berlusconi scoraggiato.



Tant'è, che dentro Forza Italia c'è chi non esclude di disertare il voto decisivo di questa sera in Vigilanza, costringendo il premier a rinviare tutta la questione a settembre. «E questo sì che sarebbe un bel danno d'immagine, per uno che come Renzi si vanta di essere un decisionista...», facevano filtrare da palazzo Grazioli.



Insomma, nervi scoperti, sospetti e minacce. Con Berlusconi che ha fatto trapelare una rosa di tre nomi: Piero Ostellino, Barbara Palombelli (che via sms ha fatto sapere di non esserne entusiasta) e Antonio Catricalà. E con Luca Lotti, Maria Elena Boschi e i capigruppo Luigi Zanda e Rosato che, su incarico di Renzi, lavorano a un elenco in grado di calamitare i voti della decina di “cespugli” in Vigilanza (Gal, fittiani, ecc.), e di Forza Italia. I nomi in circolazione: Marcello Sorgi, ex direttore de La Stampa e del Tg1, che potrebbe incassare il sì forzista grazie alla mediazione di Gianni Letta. E poi il presidente dell'Ansa Giulio Anselmi, il direttore de La Stampa Mario Calabresi, il presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta (ma si sarebbe chiamato fuori pure lui), l'ad dell'Auditorium di Roma e commissario dell'Opera Carlo Fuortes e Franco Bernabé, ex presidente Telecom. Ma soprattutto l'ex presidente di Mps e ora vicepresidente di Confindustria, Antonella Mansi.



IPOTESI AL FEMMINILE

Dopo il brutto esordio con il cda, dove è entrata solo una donna (Rita Borioni) e su cui è caduta una grandinata di accuse di lottizzazione, Renzi è tornato infatti a valutare con attenzione l'idea di nominare una presidenza rosa. Dunque la Mansi è tornata prepotentemente in corsa. Con un problema non da poco: dovrebbe accettare uno stipendio di circa 240mila euro, inferiore a quello che attualmente percepisce.



Difficilmente la scelta potrà cadere sulla Palombelli. Con appena tre consiglieri su sette, Renzi per avere la maggioranza nel cda per forza di cose deve puntare su un presidente di area. E non su un presidente suggerito da Berlusconi. In gioco, come ha fotografato il Cavaliere, c'è il controllo della Rai. Strumento utilissimo in vista delle elezioni nel 2016 in città della rilevanza di Napoli, Milano, Torino, Bologna, Genova. E soprattutto per le elezioni nazionali in programma nel 2018, anno di scadenza del Cda appena eletto. «E come insegna proprio Berlusconi», dice un renziano, «chi controlla le tv alle urne ha più probabilità di vittoria».