Tra Lega e larghe intese/Smontare il centrodestra, la tentazione di Berlusconi

di Alessandro Campi
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Venerdì 3 Marzo 2017, 00:05
Nella sua lunga storia politica, iniziata trionfalmente nel 1994 con la nascita di Forza Italia e con la vittoria alle urne contro la “gioiosa macchina da guerra” della sinistra guidata da Achille Occhetto, Silvio Berlusconi non è mai stato con meno truppe. 
È fuori dal Parlamento, essendo stato dichiarato decaduto dal rango di senatore, e ancora non sa quando e soprattutto se potrà nuovamente candidarsi ed essere eletto. Il centrodestra che aveva contribuito a fondare, mettendo insieme liberali, leghisti, post-missini nonché pezzi sparsi della diaspora democristiana e socialista sopravvissuta a Tangentopoli, si è frammentato e diviso in tante sigle. La sua leadership - a lungo considerata carismatica, monarchica e intangibile - è apertamente sfidata e messa in discussione anche all’interno del suo stesso partito. Molti degli uomini a lui più legati, talvolta da un rapporto di devozione personale, da un pezzo lo hanno abbandonato per crearsi loro partitini o gruppi parlamentari.
Ma non basta. Il suo partito, che nei momenti d’oro è arrivato a rappresentare un elettore italiano su tre, oggi stenta nei sondaggi e in molte aree del Paese ha visto sfilacciarsi i propri gruppi dirigenti e la propria base militante. L’età a sua volta non aiuta: abituato a considerarsi eterno e quasi immortale, d’una vitalità incontenibile, deve anche lui vedersela con gli acciacchi, gli affanni e le preoccupazioni tipici della vecchiaia. 


L’immagine pubblica, dopo anni di gossip, accuse, inchieste, polemiche e pettegolezzi, risulta anch’essa incrinata e difficile da ricostruire come quando si presentava nei panni del Cavaliere senza macchia e senza paura. Quanto al suo impero multimediale, considerato un tempo inattaccabile, deve oggi proteggersi dai pericolosi assalti della finanza francese. E nel frattempo sta pure vendendo ai cinesi il suo amato Milan.

Bene, a dispetto di tutti questi fattori, che sembrerebbero metterlo definitivamente fuori gioco, Berlusconi in questa particolare congiuntura politica sembra godere – ben oltre i suoi meriti politici e la sua forza reale – di una nuova e inaspettata centralità. Frutto, più che della sua proverbiale capacità di manovra, del succedersi di fortunate (per lui) situazioni. Su tutte l’avvilupparsi del Partito democratico, dopo la caduta del governo guidato da Renzi, in una crisi interna i cui sviluppi al momento non è facile prevedere. Ma non poco ha contato la decisione della Corte costituzionale che, cassando l’Italicum, ha ripristinato una legge elettorale de facto di stampo rigidamente proporzionale. 

Con questo sistema di voto (se non sarà modificato), con un sistema politico diviso in tre-quattro blocchi elettorali e in via di crescente frammentazione a livello parlamentare, il rischio reale è che alle prossime consultazioni politiche si arrivi ad una sorta di stallo o paralisi, che finirebbe per aggravare la già difficile condizione del Paese sul piano economico e dei conti pubblici. Ed è appunto quest’eventualità che rende le scelte future del Cavaliere, per quanto azzoppato possa essere e sembrare, decisive per capire come potrebbe evolvere il quadro politico-istituzionale italiano. 

I segnali che il Cavaliere sta mandando in questi giorni sono indubbiamente contraddittori. Segno che, avendo compreso di avere buone carte in mano, la sua intenzione è di non scoprirle se non al momento opportuno e secondo la sua migliore convenienza. 
Da un lato, insiste sulla necessità di riunificare il centrodestra, ma beninteso sotto la sua guida. Il che significa dover neutralizzare le ambizioni del leghista Salvini e quelle di qualche suo ex-delfino o collaboratore. Di rifare un partito unitario o una sigla elettorale comune tuttavia non se ne parla. Al massimo ci si può alleare dopo per essersi contati alle urne: Berlusconi è infatti convinto di poter tornare in pista e di potersi riprendere i voti moderati che, con lui momentaneamente fuori gioco, si sono rifugiati nell’astensionismo elettorale e non sono certo andati né alla Lega né al M5S. La sua idea, se mai dovesse trovare un qualche accordo con i vecchi alleati di un tempo, è di proporsi – anche su scala europea – con il liberale che si allea con i populisti per svuotarli della loro carica polemica e antisistema, anche a costo di fare loro qualche concessione sul piano del linguaggio e della propaganda. Con questa formula, di un centrodestra nuovamente unito e potenzialmente maggioritario sotto la sua guida, frenerebbe anche l’assalto al Palazzo dei grillini e compenserebbe il vuoto di potere lasciato da una sinistra divenuta oltremodo rissosa e inconcludente.
Dall’altro, Berlusconi ha un’altra vera tentazione: lasciare aperta la porta di un “nuovo Nazareno” e di una “grande coalizione” col Pd nel segno di un comune riformismo: progressista quella renziano, liberal-popolare quello berlusconiano. Ora che i “comunisti”, per dirla col suo storico linguaggio, sono usciti dal partito collaborare con Renzi in Parlamento e al governo, con l’idea di contrastare il radicalismo e il populismo in tutte le sue espressioni di destra e di sinistra, diviene persino più facile. E pazienza se ciò inevitabilmente dovesse comportare la definitiva rottura con la Lega di Salvini e col vecchio mondo post-missino. Berlusconi potrà sempre dire che col loro estremismo ideologico si sono condannati da soli all’isolamento e a un ruolo di opposizione senza costrutto. Potrà inoltre presentarsi nei panni che più preferisce: quelli di salvatore in extremis della patria.
Salvini o Renzi? L’alleanza coi populisti o la collaborazione con la sinistra moderata contro i populisti d’ogni risma? Qualunque scelta faccia – e la farà, secondo il suo stile, solo all’ultimo momento, Berlusconi rischia dunque di essere decisivo, se il problema – come molti sostengono – è quello di evitare che vada al governo il M5S dando all’Italia una maggioranza politica alternativa qualche che sia.
Resta il fatto che questa rinnovata centralità del Cavaliere, per così dire tattica, strumentale e sistemica, è soprattutto la fotografia del drammatico stato di confusione e debolezza nel quale versa la politica italiana. I cui equilibri istituzionali e i cui futuri assetti di governo rischiano di reggersi non su programmi, proposte operative o progetti condivisi ma su formule estemporanee e aride sommatoria algebriche.
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