Bondi molla Berlusconi. Ma la sua è un auto-rottamazione

Sandro Bondi
di Marco Conti
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Giovedì 24 Aprile 2014, 11:25 - Ultimo aggiornamento: 21:12

La prima volta che sentii parlare di Sandro Bondi fu nel salotto di Arcore un sabato mattina. L'estate del Duemila era alle porte e Silvio Berlusconi in quei mesi di continua campagna elettorale, le apriva volentieri ai giornalisti.

Insieme ad un collega del Giornale, seduti sui divani che guardano il parco, si discuteva dei riflessi delle elezioni regionali, stravinte dal centrodestra, e del neonato governo di Giuliano Amato. Meno di due ore di conversazione che Berlusconi interruppe un paio di volte per rispondere da una stanza attigua ad alcune telefonate. Ne rammento una che mi colpì per l'attenzione e la premura con la quale Berlusconi parlava con l'interlocutore di un certo Sandro Bondi che era stato inserito nel listino della regione Lombardia senza essere eletto per 'colpa' della straripante vittoria che aveva conseguito poche settimane prima Roberto Formigoni. Un 62%, quello di Formigoni, in grado di doppiare il candidato del centrosinistra Mino Martinazzoli, ma anche di impedire al listino di scattare oltre il posto in lista occupato da Romano La Russa che precedeva Bondi.

Il problema che capii da quella conversazione che rimbalzava nella stanza, è che quel tal "Bondi" non era stato sistemato e Berlusconi, come è provato, le promesse che fa ai suoi più stretti collaboratori, le rispetta.

Bondi, da qualche anno, era entrato in quella schiera di fedelissimi per cooptazione, aiutato anche da un'altra, e per sempre super-fedele, come Marinella, l'allora segretaria del Cavaliere.

Gentile, premuroso, ossequioso, da circa quattro anni, Bondi di fatto viveva ad Arcore, con la moglie e il neonato figlio, a poche centinaia di metri da villa San Martino. Nella villa del tycoon italiano lo aveva introdotto lo scultore Pietro Cascella che nei primi anni Novanta faceva avanti e indietro tra la Toscana dei marmi e la cappella funeraria che costruiva nei giardini della villa. A Berlusconi i comunisti da convertire sono sempre piaciuti e ne ha convertiti, a modo suo, tanti. Bondi era un comunista a tutto tondo per il passato di segretario della Fgci della Lunigiana e di sindaco del Pci di Fivizzano, paese a pochi passi da quella Massa Carrara che in quegli anni Cascella frequentava spesso per via dei suoi marmi.

Al Cavaliere quel Ravanello, così era stato ribattezzato Bondi dai compagni della Toscana, piacque subito perché Bondi era davvero rosso fuori, ma bianco dentro. Quel candore da perenne convertito è stata la chiave di volta che il futuro ministro dei Beni Culturali ha usato per entrare nel cuore del Cavaliere che ieri, irritazione a parte, non ha dubitato neppure per un secondo della fedeltà del suo seppur maldestro biografo. Eh giá perché Sandro Bondi fu l'estensore, in quei mesi del Duemila che precedettero la tumultuosa e attesa vittoria della Casa delle Libertà, del libretto-opuscolo 'Una Storia Italiana'. Una storia che ora per Bondi è destinata a finire male, ma lui è disposto a finirci sotto con il suo innaturale candore. Lo stesso che gli permise di finire sotto i continui crolli di Pompei malgrado siano iniziati prima del suo arrivo al ministero dei Beni Culturali e continuino ancora.

«La nostra storia finisce nel fango tra vili e traditori», ebbe a dire Agostino da Turalgo che quando non scrive poesie è lo stesso Bondi che ieri si è auto-rottamato, come Paolo Bonaiuti e coloro che sono finiti nel Ncd nella speranza di un'altra legislatura o di poter allungare al massimo l'attuale.

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