Berlusconi e la strategia della responsabilità sulle riforme

Berlusconi e la strategia della responsabilità sulle riforme
di Emilio Pucci
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Venerdì 9 Dicembre 2016, 08:27
ROMA Entrare in un nuovo governo Renzi? «No, grazie. Abbiamo già dato con il patto del Nazareno». E se si arrivasse a Gentiloni o a Padoan? «Non ci sono le condizioni per un nostro impegno». Berlusconi per ora con i suoi torna a chiudere la porta ad una mano tesa di FI per la nascita di un esecutivo, non solo politico targato Pd ma anche istituzionale. «Perderemmo di sicuro le elezioni e la faccia, ci consegneremmo a Grillo, non ce lo possiamo permettere», continua a spiegare ad ogni interlocutore che telefona a villa San Martino per conoscere le prossime mosse.

Più di un big azzurro in realtà non esclude che il Cavaliere possa anche tenersi le mani libere qualora il Capo dello Stato domani alle 16 dovesse chiedergli collaborazione su un nome non riconducibile ai dem. Tuttavia l'ipotesi di votare la fiducia o anche di dare l'appoggio esterno al momento non è in campo.

Altra cosa sarebbe quella di facilitare l'apertura di una fase di responsabilità con dei numeri aggiuntivi sotto traccia. Di sicuro la strategia delle mani libere sarà messa in pratica sulle alleanze, ma solo dopo le elezioni ed esclusivamente se si arrivasse ad una legge proporzionale. «Il Pd è l'osservazione dell'ex presidente del Consiglio deve capire che dopo il voto non potrà governare senza di noi, l'unica scelta sarà quella delle larghe intese per l'interesse nazionale».

Ma non ora e non con questo clima politico. C'è comunque una parte del partito che pur di arrivare al 2018 aprirebbe ad un sostegno mascherato o meno di un governo con la garanzia fornita da Mattarella di un patto sul proporzionale.

SONDAGGI NEGATIVI
I sondaggi riservati arrivati sul tavolo ad Arcore danno FI in calo nonostante la vittoria del No al referendum e poi c'è il timore di rimanere nella rete di Salvini e per di più senza guida se ci fosse una accelerazione alle urne. Ma allo stesso tempo Berlusconi ha ben in mente gli esperimenti Letta e Monti e per di più in campagna elettorale è tornato a prendersela con chi ha permesso un altro esecutivo non deciso dal voto. «Gli elettori hanno inviato un segnale preciso, tocca al Pd sbrigarsela», è il ragionamento che si fa ad Arcore.

«È ridicolo che il Pd pretenda ora di socializzare le perdite, cioè la sconfitta al referendum. Si prendano le loro responsabilità e formino un governo guidato da chiunque», rilancia Toti che insieme a Brunetta, Romani, Matteoli e Gasparri è il più netto ad opporsi all'offerta dem di un governo di responsabilità con tutti dentro. Una linea sulla quale perfino Letta, confida un parlamentare azzurro, ha più di qualche dubbio. In presenza di un sì ad un «governo del presidente» l'ala barricadera avallerebbe la scissione avvicinandosi ancor più alla Lega. Ma Berlusconi ha dato la disponibilità solo sulla legge elettorale. «Senza di noi non saranno capaci a fare nulla, non possono aspettare la Consulta, dovranno venire a cercare i nostri voti», è la tesi dell'ex presidente del Consiglio.
Ma anche sul sistema di voto il partito è spaccato e la preoccupazione è che alla fine si resti isolati. Ecco perché l'incontro tra il presidente della Repubblica e il Cavaliere sarà fondamentale per capire il destino del centrodestra, non solo della crisi. «Io non ho paura di andare alle urne entro sei mesi», ripete l'ex premier. In realtà tutti sono consapevoli che FI non è pronta. «Con chi ci presenteremmo? Andremmo sotto le insegne di Salvini?», è l'interrogativo dei parlamentari.