Solo il padre, George II, non si era rassegnato all'idea che il figlio dovesse volare via a soli 27 anni: «Sapevo che se avessi avuto tre o quattro ore in più, quella notte, sarei riuscito a sapere se era davvero cerebralmente morto. Si stavano muovendo tutti troppo in fretta: l'ospedale, gli infermieri, i dottori». E ha detto no: a un passo dalla fine ha impugnato la pistola, ha minacciato di sparare ai medici che stavano per staccare quella maledetta spina e ha tenuto lontani polizia e personale ospedaliero per tre ore. Il tempo giusto per sentire, per ben quattro volte, che dietro sollecitazione il figlio riusciva a stringergli la mano. Il tempo giusto per capire che George III non era morto: la parola “fine” poteva essere rimandata a un lontano futuro.
Tutto questo accadeva a gennaio scorso. George Pickering II, 57 anni, aveva avuto ragione. Ha ammesso di essere stato aggressivo e in stato di ubriachezza, ma era quello che andava fatto. Ora, a quasi un anno di distanza, suo figlio ha pienamente recuperato e lui, incarcerato per aggressione armata dopo quel disperato blitz, è stato da poco rilasciato.
«E' stata infranta la legge, lo so - dice George III – ma è stato fatto per un buona ragione. E' solo grazie a questo che io sono ancora qui: è stato amore, solo amore. E' dovere di un genitore proteggere I propri figli, e questo è quello che ha fatto mio padre. L'unica cosa che conta è che sono vivo e vegeto, che mio padre è tornato a casa e che siamo di nuovo insieme».
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