Super Tuesday, ecco i risultati. A Clinton e Trump 7 Stati a testa. Flop Rubio

Super Tuesday, ecco i risultati. A Clinton e Trump 7 Stati a testa. Flop Rubio
di Anna Guaita
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Martedì 1 Marzo 2016, 16:41 - Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 14:52

NEW YORK – Sette vittorie per Hillary, e quattro per Bernie Sanders fra i democratici. Sette per Trump, due per il senatore Ted Cruz e uno per il senatore Marco Rubio fra i repubblicani. Questi i calcoli quasi definitivi del SuperTuesday. L'appuntamento decisivo delle primarie Usa vede una netta affermazione per i due candidati che erano arrivati all'appuntamento già fortemente favoriti, ma qualche vittoria anche per i loro sfidanti. 
 


Donald Trump e Hillary Clinton hanno tenuto discorsi in cui si leggeva già la loro strategia per la vera sfida, quella di novembre. Era chiaro ieri sera che sia l’imprenditore newyorchese che l’ex segretario di Stato sono usciti dal Super Tuesday convinti che oramai le rispettive nomination dei due partiti siano loro, e che si sfideranno per la Casa Bianca.

La giornata ha visto andare al voto tredici Stati per i repubblicani e undici per i democratici. In ballo era il 24 per cento dei delegati che servono alla conquista della nomination per il partito dell’elefante e il 21 per cento per quelli dell’asinello.

Hillary Clinton
si è aggiudicata sei degli Stati, ma decisamente i più importanti. L’intero “pacchetto” degli Stati del sud – Virginia, Georgia, Tennessee, Alabama, Arkansas e Texas – dove il voto degli afro-americani è decisivo ed è andato a lei con una schiacciante maggioranza. Agli exit polls i votanti hanno detto di cercare un candidato “che avesse esperienza e che proseguisse i progetti di Barack Obama”.

A questa vittoria, strategicamente importante, Hillary ha aggiunto anche quella del Massachusetts, ma con una maggioranza molto più risicata. Vincere anche nello Stato del New England che confina con il Vermont, di cui Bernie Sanders è senatore e dove si è affermato con una maggioranza plebiscitaria, è stato significativo per Hillary, che voleva dimostrare di essere competitiva anche in uno Stato decisamente liberal.

Il suo rivale, il 74enne senatore socialista Bernie Sanders si è detto felice della vittoria nel suo Vermont, ma si è anche aggiudicato l’Oklahoma, il Colorado e il Minnesota. Molti analisti tuttavia hanno espresso la convinzione che la “rivoluzione” annunciata dal senatore non stia avvenendo, e che il suo ruolo nella campagna sia stato già massimizzato e si sia esaurito: ha ottenuto di spostare Hillary a sinistra, ma non ha mobilitato le masse come si aspettava. Le sue vittorie sono tutte in Stati del nord, a schiacciante maggioranza bianca. Come dice una battuta presto adottata dai clintoniani, “Sanders vince negli Stati dove gli elettori in inverno non si distinguono dalla neve”.

Forte come quella di Hillary è stata la vittoria del repubblicano Donald Trump, che si è portato a casa Georgia, Tennessee, Alabama, Massachusetts, Virginia e Vermont. In quest’ultimo Stato la battaglia è stata lunga, poiché le aree urbane, più vicine a Washington, hanno votato a favore del senatore della Florida, Marco Rubio e quindi per varie ore lo Stato veniva indicato come “too close to call”, in quanto non c’era una netta maggioranza subito visibile.
Lo stesso è avvenuto nel Vermont, dove il moderato governatore dell’Ohio, John Kasich sembrava che potesse strappare la vittoria a Trump, ma alla fine non ce l'ha fatta.

Il Texas e l’Oklahoma sono invece andati al senatore texano Ted Cruz, un esponente dell'ala più conservatrice del partito, che aveva già vinto nell’Iowa e dunque conferma di avere più diritto di Rubio di considerarsi il diretto rivale di Trump. Il senatore della Florida aveva scommesso sull’attacco alla giugulare contro l’imprenditore newyorchese, prendendolo in giro per i suoi capelli, l’abbronzatura, le mani, e accusandolo di essere un imbroglione. Alla fine è stato però Cruz a poter vantare delle vittorie in vere e proprie primarie, mentre Rubio si è aggiudicato solo i caucus del Minnesota.

Nella serata Hillary Clinton, già in Florida – dove si vota il 15 marzo – ha tenuto un discorso dai chiari toni anti-Trump: «Vi dirò qualcosa che raramente un candidato alla presidenza dice: credo che oggi in America abbiamo bisogno di amore e gentilezza. Sapete, funziona! Invece di costruire muri, abbattiamo barriere, e diamo a tutti le stesse opportunità, così che il nostro Paese sia di nuovo sano».

Più tardi, Trump nel suo discorso ha invece rilanciato l’idea del muro con il Messico, e ha preso in giro Hillary e Barack Obama, senza risparmiare neanche i suoi rivali. Nel mezzo di un discorso pieno di denunce dei Paesi stranieri che approfittano della generosità degli Usa, tutto sul filo. di polemiche contro le politiche liberal e lo Stato sociale, ha però a un certo punto sostenuto: «Sono un conservatore, ma credo nel buon senso. E intendo riunire il partito». E molti hanno pensato che sia stato il primo passo verso un remake di Trump in versione più tranquilla, in vista delle presidenziali.

I sondaggi. Secondo un un sondaggio di Cnn/Orc pubblicato a poche ore dal Super Tuesday, Donald Trump ha comunque poche speranze di conquistare la Casa Bianca. Il tycoon in un ipotetico scontro diretto perderebbe sia con Hillary Clinton sia con Bernie Sanders. Nel dettaglio, secondo la rilevazione di Cnn/Orc, la Clinton batterebbe Trump col 52% delle preferenze contro il 44% del tycoon. Mentre il senatore Sanders otterrebbe il 55% dei voti contro il 43% dell'imprenditore. Diverso lo scenario se la nomination repubblicana fosse vinta da Marco Rubio (un'ipotesi ormai remota) o Ted Cruz. Secondo il sondaggio Hillary perderebbe col primo, mentre col secondo sarebbe un testa a testa. Sanders batterebbe facilmente entrambi.

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