Una mossa rischiosa/Ma la Catalexit non si contrasta con le procure

di Lucio Sessa
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Giovedì 21 Settembre 2017, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 03:18
Su mandato giudiziario la “Guardia Civil” ieri mattina ha effettuato delle perquisizioni negli uffici degli assessorati della Generalitat, il governo regionale catalano, e ha proceduto all’arresto di quattordici persone, tra cui dirigenti politici di primo piano. L’accusa è quella di aver indetto un referendum più volte dichiarato illegale dalla Corte Costituzionale. I reati di cui potrebbero dover rispondere sono quelli di disubbidienza, prevaricazione, malversazione di denaro pubblico. Dura la reazione del presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, e della sindaca di Barcellona, Ada Colau, che ha parlato di «scandalo democratico». 
Migliaia di persone sono scese in piazza, nella capitale catalana, in segno di protesta. Dunque la situazione è tesa, tesissima. Dove sono le ragioni, dove i torti, e come si può uscire da questa situazione? In un recente articolo, apparso sul quotidiano spagnolo La Vanguardia, il celebre sociologo spagnolo Manuel Castells, docente di Comunicazione alla U. S. C. di Los Angeles, ha messo in evidenza gli esempi di Regno Unito e Canada.

«Se si seguisse l’esempio di Paesi davvero democratici come il Regno Unito con la Scozia e il Canada col Québec - spiega Castells - l’indipendentismo perderebbe il referendum e a partire da lì ci sarebbe una negoziazione ragionevole per la questione catalana». Ha poi proseguito scrivendo che «i partiti che governano la Spagna sono una macchina fabbrica-indipendentismo e se continuano a umiliare e provocare le istanze indipendentiste ne ingrosseranno le fila».

Sul piano strettamente politico, tali affermazioni potrebbero anche essere condivisibili, ma sul piano della legittimità, Castells non considera che nei Paesi di cultura anglosassone vige il Common Law, cioè il diritto consuetudinario, mentre la Costituzione scritta spagnola vieta ogni referendum separatista. E non è certo la sola in Europa. In Francia, per esempio, è vietato persino modificare la carta costituzionale per consentire un referendum separatista, posto che l’integrità territoriale viene considerata prioritaria rispetto alla costituzione stessa. In Germania, i partiti o movimenti che mettono in pericolo l’integrità territoriale vengono considerati ipso facto incostituzionali, e così la Corte Costituzionale tedesca ha recentemente bocciato un referendum separatista proposto da un piccolo partito bavarese. In Italia le cose non stanno diversamente, e il referendum promosso dalla Lega Nord il prossimo 22 di ottobre non presenta, com’è noto, istanze separatiste.
Naturalmente il governo spagnolo può essere ampiamente criticato per non aver mai voluto, in questi ultimi anni, aprire alcun negoziato con la Generalitat, lasciando incancrenire la questione, facendosi scudo dietro il paravento di un’interpretazione rigida delle leggi esistenti, quando invece in altri casi ha optato per una soluzione politica. Citiamo, a titolo di esempio, l’autonomia fiscale, concessa ad alcune regioni come i Paesi Baschi e la Navarra, e pervicacemente negata, invece, alla Catalogna.

E sul versante catalano, a quale «legalità» si richiama un’istituzione «legittima», come l’attuale governo della Generalitat, per giustificare il referendum? Si richiama ad alcune risoluzioni dell’Onu, firmate anche dalla Spagna, che si sono espresse a favore dell’autodeterminazione regionale. Solo che tali risoluzioni si applicano in circostanze in cui una minoranza territoriale sia vessata e oppressa, e non è ovviamente questo il caso della Catalogna. Negli ultimi infuocati giorni, i sostenitori del referendum si appellano, demagogicamente, a un’interpretazione della democrazia in senso plebiscitario. Tornando alla democrazia rappresentativa, che è quella che ci riguarda, non si può non rilevare che la legge sul referendum è stata approvata dal governo catalano senza neppure uno straccio di dibattito parlamentare, sebbene la maggioranza di cui dispone, a sèguito delle elezioni del 2015, non corrisponda alla maggioranza dei voti, ma solo a quella dei seggi. E questo è stato loro aspramente rimproverato, tra gli altri, dalla stessa sindaca Ada Colau, che è naufragata nel suo tentativo di mediazione, anche perché è andata sempre più spostandosi, come il suo partito di riferimento, Podemos, verso posizioni referendarie e anti-governative.

Come uscirne? Purtroppo la politica ha lasciato il campo alle procure e questa, comunque la si pensi nel merito, non è mai una buona notizia. Il governo catalano ha messo in moto un meccanismo infernale che gli è sfuggito dalle mani e che non può più governare, se non vestendo l’abito del perseguitato. Gli ultimi sondaggi, tra le altre cose, vedevano una netta maggioranza di catalani favorevoli alla celebrazione del referendum, ma i sostenitori dell’indipendenza non raggiungevano il 50%, come peraltro accaduto alle già citate ultime elezioni politiche.
E allora il prossimo passo non può che essere, dopo l’inevitabile annullamento del referendum, l’indizione di elezioni politiche anticipate in Catalogna. Da lì, contandosi, si potrebbe ripartire, a mente fredda e lucida, quando si potrà ragionare e meditare sul fatto che l’uscita dalla Spagna comporterà anche l’uscita immediata della Catalogna dall’Europa, e l’inizio di faticose negoziazioni per rientrarci come nuovo Stato. La maggioranza dei catalani vorrà davvero la “Catalexit”?
 
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