Commercio Usa, tutto da rifare con la rivoluzione di Trump

Commercio Usa, tutto da rifare con la rivoluzione di Trump
di Roberta Amoruso
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Mercoledì 23 Novembre 2016, 08:32
È tutto da rifare nel commercio internazionale sull'asse che parte dagli Stati Uniti. Donald Trump partirà dal Trans Pacific Partnership, il Tpp, con il suo obiettivo di creare un'area di libero scambio con 12 Paesi della regione del Pacifico (Cina esclusa), per smantellare uno a uno i mega accordi multilaterali di libero scambio. Lo ha ribadito ieri il nuovo presidente Usa. Quanto sia solo tattica si capirà il 20 gennaio. Ma a questo punto è difficile immaginare che l'«America first» si fermerà anche sulle promesse di andare oltre e rinegoziare o revocare l'accordo nordamericano per il libero scambio Nafta (il trattato di libero scambio con il Canada e il Messico), o bloccare «le importazioni scorrette»; porre fine alle «pratiche commerciali sleali»; e anche mettere definitivamente nel congelatore (almeno per due anni) il TTIP, l'area di libero scambio con l'Europa (divisa su questo fronte), per poi negoziare in modo bilaterale i nuovi accordi commerciali.

Certo, le prime conseguenze nella nuova rotta Usa saranno nell'asse con la Cina, che al di là delle posizioni ufficiali tutt'altro che concilianti, potrebbe però riservare delle sorprese. Scontata l'apertura alla Russia. mentre con l'Europa è tutto da riscrivere, eventualmente.

IL NODO RUSSIA E ASIA
In realtà il capitolo Ue non sembra comparire per niente nell'agenda Trump. Ha ragione il ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, a dire che «gli Stati Uniti continuano ad essere un partner fondamentale per l'Unione europea e per l'Italia». Ma la manifattura Ue ci contava davvero su quell'accordo in piena sfida verso i segmenti a più valore aggiunto. Ancora di più l'Italia che scommetteva per il suo sviluppo strutturale anche sulla riduzione dei dazi (18.000 tariffe)e la definizione di standard regolatori e tecnologici comuni. Del resto, i numeri dicono che sono oltre 2.000 le realtà italiane controllate da imprese con sede negli Usa. L'Italia, poi, nei primi sei mesi del 2016 ha esportato verso gli Usa merci per circa 24 miliardi di euro. Il grosso riguarda gli autoveicoli, seguiti dalle costruzioni per navi. Dati rilevanti anche per quanto riguarda il settore aeromobili e quello di medicinali e prodotti farmaceutici, seguiti da enogastronomia e moda.

Senza contare che i Paesi fortemente esportatori verso Oltreoceano, come il nostro, rischiano di pagare un conto più alto anche per la prospettiva di un dollaro in calo. Un dato da non sottovalutare, anche se a nostro favore giocano le caratteristiche di qualità dell'export, a partire dal lusso, sul quale la concorrenza dei prezzi ha meno effetto.

L'Ue dunque non sembra rientrare nei progetti della nuova amministrazione Trump. Che forse punta più a discutere con una Gran Bretagna nello scenario Brexit. Ma la risposta di Bruxelles non potrà attendere, scadenze elettorali permettendo.

Intanto può aprirsi un nuovo asse con la Russia. Ma evitare l'isolamento significa soprattutto puntare ad accordi bilaterali con Paesi come Giappone e India, si dice in ambienti della Commissione Ue. Quanto ai rapporti con la Cina, sono un capitolo a sè, visto che di accordi bilaterali non se ne parla. Almeno finché, come si spera, Pechino rimarrà fuori dalle economie di mercato. Certo, ora che Trump si prepara a cestinare il Tpp, la Cina sembra di fatto avere più spazio. Si propone come un campione del libero commercio, puntando a giocare un ruolo da protagonista della globalizzazione. «La Cina non chiuderà la porta al mondo esterno, ma la aprirà ancora di più», ha affermato ieri il presidente cinese Xi Jinping in Perù, al vertice dei 21 Paesi dell'Apec. Il leader cinese ha rilanciato le iniziative (alternative) per liberalizzare il commercio nella regione dell'Asia-Pacifico, spiegando che «la costruzione di una zona di libero scambio dell'Asia Pacifico è vitale per la prosperità a lungo termine della regione».

In realtà è ancora presto per capire come andrà finire sull'asse Usa-Cina. Tra le priorità di Trump c'è quella di dare mandato al segretario al Tesoro di etichettare la Cina come «manipolatore valutario» e ordinare al rappresentante del Commercio di sollevare cause commerciali contro Pechino. Promette anche di mettere dazi al 45% sulle importazioni dalla Cina (una posizione difficile da fare approvare al Congresso dati gli interessi in ballo). Da parte sua Pechino minaccia di rivalersi sulle aziende Usa nel Paese. Al di là degli slogan, però, è difficile immaginare una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, visto che oltre metà dell'import statunitense è fatto da aziende Usa che lavorano in Cina. Imporre dazi sull'Iphone assemblato in Cina significa tassare la Apple. Quanto ai componenti arrivano da Corea del sud, Germania e Francia. Nello stesso tempo i cinesi sono i principali detentori del debito pubblico Usa. Dunque un accordo dovrà essere trovato. Non c'è altra via.

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