La stabile instabilità dell’Arabia Saudita

di Davide Tabarelli
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Lunedì 13 Novembre 2017, 00:26
L’Arabia Saudita è il paese più retrogrado al mondo, ma, paradossalmente, da oltre 80 anni, è il più stabile del Medio Oriente, l’area dove le guerre sono più frequenti, causate anche dal fatto che qui si concentra oltre il 50% delle riserve mondiali di gas e petrolio, le due fonti che coprono ancora gran parte dei consumi globali di energia. La popolazione cresce di 4,5 milioni di persone in più all’anno, a 240 nel 2017, la cui età media è di 22 anni e per loro il petrolio è più dannazione che occasione di sviluppo. La famiglia Al Saud, unico caso al mondo, dà il nome al suo paese, il cui capo, da pochi mesi, è Mohammad Bin Salman, MBS, l’impaziente trentaduenne principe che ne sta combinando di tutti i colori. Sullo sfondo si gioca il destino dell’economia mondiale, la cui linfa vitale rimane il petrolio, il cui prezzo, da qualche settimana, proprio per le tensioni saudite, ha ripreso a correre oltre i 60 dollari, massimo da oltre due anni e mezzo.

Da più di 1000 anni è la divisione nel mondo islamico fra sciiti e sunniti che origina le dinamiche politiche di fondo dell’area La confessione sunnita ruota intorno all’Arabia Saudita, mentre difensore di quella sciita è lo storico nemico Iran. Già quando c’era lo Shah di Persia, l’Iran era acerrimo nemico dei sauditi, ma il tutto peggiorò drasticamente con la rivoluzione di Khomeini del 1979 che auspicava una sollevazione popolare in tutto il mondo islamico, in particolare in Arabia Saudita. Il grande satana divenne gli Stati Uniti e il sequestro degli ostaggi dell’ambasciata americana sancì una divisione fra Teheran e Washington che dura tuttora. Il nuovo presidente Trump, nel suo disordine, ha come linea di condotta principale quella di disfare quanto fatto dal suo predecessore Obama. Questi, con l’Iran, aveva avviato un dialogo da cui era timidamente scaturito l’accordo sul nucleare. Di quel riavvicinamento i sauditi ne ebbero paura tremenda, tanto da spingersi a metà 2014, quando fu annunciato, ad inondare il mercato di petrolio con successivo crollo dei prezzi. 

Nel 2015, morto il vecchio sovrano, gli succede il fratellastro che decide di far crescere uno dei suoi figli, il più brillante e il più studioso di tutti, il nostro MBS. Lo nomina ministro della difesa e comincia subito a combinare i primi guai, con una campagna di bombardamenti nel vicino Yemen contro i ribelli Huthi, per lo più sciiti appoggiati dall’Iran. Finora questa azione è stata uno dei peggiori fiaschi militari della storia, con migliaia di vittime civili e annessa crisi umanitaria, mentre, contrariamente alle intenzioni, ha rafforzato la posizione dell’Iran. A Nord, in Iraq, la guerra contro l’ISIS è stata vinta con l’appoggio dell’Iran, mentre in Siria, Assad, storico nemico dei sauditi rimane al suo posto, grazie all’appoggio di Teheran. Sempre nel 2015 MBS viene nominato anche ministro dell’economia e comincia a lavorare ad un progetto, reso pubblico nell’aprile 2016, di visione del suo paese nel 2030. Si tratta di un ambizioso piano di modernizzazione volto ad aprire al mondo il paese, con il petrolio destinato, nelle intenzioni, a perdere di importanza.

Finora, la sua “Vision 2030” ha portato solo alla possibilità per le donne di avere finalmente la patente auto, però a partire solo dal 2018. Simbolo del nuovo corso economico è diventato la più grande privatizzazione della storia, finora solo annunciata, quella dell’Aramco, la più grande compagnia petrolifera del mondo, che detiene il 25% delle riserve mondiali di petrolio. E’ una sorta di stato dentro lo stato dove i dipendenti parlano per lo più inglese e le donne possono guidare e partecipare a feste. MBS dice che vale la cifra astronomica di 2 mila miliardi di dollari, valore che, con una vendita del 5%, dovrebbe consentire allo stato entrate da 100 miliardi di dollari per finanziare nuove infrastrutture, come una città della tecnica da fare sul Mar Rosso e un ponte di collegamento con il vicino e amico Egitto. Per altri analisi il valore della società è la metà, ma soprattutto nessuno ha mai valutato con metodi occidentali quante siano effettivamente le riserve di petrolio. Poi, MBS non sa se quotarla a New York, come vorrebbe Trump, ma qui pende la possibilità di risarcimenti miliardari richiesti da cittadini americani per l’attentato delle due torri dell’11 settembre 2001; 15 dei 19 terroristi erano sauditi. La borsa di Londra è troppo piccola e non ha tutti quei portafogli gonfi che oggi si trovano negli Stati Uniti.

Nel giugno 2017, pochi giorni dopo la fastosa visita di Trump del 20 maggio, MBS viene nominato erede al trono da suo padre, le cui condizioni di salute nel frattempo sono peggiorate. Pochi giorni MBS incredibilmente decide di tagliare le relazioni diplomatiche ed economiche con il Qatar, il più ricco paese del Golfo. L’accusa è di essere troppo morbido con l’Iran e, soprattutto, troppo incline a parlare di democrazia, in particolare con la sua televisione Al Jazira. Si arriva agli ultimi arresti della scorsa settimana, di cui si sa poco. La cosa più probabile è che voglia rafforzare il suo potere togliendo di mezzo alcuni esponenti influenti della famiglia reale, con la scusa della corruzione, in un paese dove tutti, visto la spesa pubblica, possono essere accusati dello stesso reato. La crisi con il Libano coinvolge poi gli Hezbollah, una delle fazioni più vicine al nemico Iran e il cui potere sta crescendo pericolosamente di fianco ad Israele, pronto a colpire se minacciato. L’Arabia Saudita, con il suo giovane principe, vuole ridisegnare, in una sorta di storia da Mille e una notte, gli assetti del Medio Oriente. Noi in Europa, spettatori lontani, abbiamo di che preoccuparci, perché il petrolio, e il suo prezzo, ne verranno pesantemente condizionati. 
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