Batosta Sarkozy, addio politica. La vecchia Europa non resiste

di Sebastiano Maffettone
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Martedì 22 Novembre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 16:51
Secondo la felice metafora di un politologo americano, gli Stati Uniti stanno a Marte come l’Europa sta a Venere.
Il significato (maschilista) della metafora in questione è chiaro: là dove gli Stati Uniti si battono e rischiano, l’Europa si contempla compiaciuta e pigra. Si può essere più o meno d’accordo con questa tesi, ma una cosa appare certa: le elezioni americane sono spesso e volentieri una sorpresa, e non solo perché i commercianti di sondaggi non ne indovinano una.

La sorpresa post-elettorale di cui si parla è piuttosto l’elaborazione politica di un mito, quello dell’uomo forte che nel momento difficile butta il cuore oltre l’ostacolo. E rischia perché pensa che solo rovesciando il tavolo il gioco può cominciare da capo e così facendo offrire nuove possibilità e migliori. Come altrimenti spiegare, d’altronde, le vittorie prima di un Presidente “molto abbronzato” (e solo chi ha vissuto in Usa sa quanto il colore della pelle conti nel paese) e poi di un signore che sarà pure miliardario ma si è presentato come anti-establishment e accompagnato da una pettinatura a soufflé?

È però vero che, delle due sorprese di cui si è detto quella di Obama era riciclabile nel gergo europeo del politicamente corretto e del ragionevole progressismo made in Eu. Ma francamente la vittoria di Trump non è così facile da digerire per l’Europa. Juncker avrà pure fatto una gaffe nella sua reazione a caldo dopo le elezioni americane, ma va anche detto che ha espresso magari male quanto tanti altri pensavano in segreto allorché a denti stretti si compiacevano con il neo-Presidente riconoscendo in lui l’eletto dal popolo. Fatto è che - come molti, dall’Economist in poi, hanno riconosciuto - l’elezione di Trump apre una stagione difficile per l’Europa, e una “gelata” (freeze) nei rapporti Usa-Eu è nell’aria. Come del resto mostrano le cifre in ballo, le politiche che ci possiamo aspettare da Trump e in genere le conseguenze immaginabili nel prossimo futuro della politica europea.
Le statistiche esibiscono a freddo la plausibilità di quello che ci dice l’intuizione psicologica.

Dal punto di vista demografico gli Stati Uniti sono una regione nettamente più giovane dell’Europa per età media, dove il reddito pro-capite è simile ma la disoccupazione assai minore mentre il Pil cresce annualmente di più e con esso la mobilità sociale. Età media minore, disoccupazione assai bassa, Pil in crescita e tassi di interesse nulli o quasi sono condizioni che favoriscono maggiore propensione al rischio. Ma - bisogna riconoscerlo - erano già sul tappeto prima di Novembre, e ci sarebbero rimaste anche sotto Hillary.

Questo fa pensare che la gelata tra Stati Uniti e Europa non dipenda da queste evidenze ma dalle politiche attese di Trump. In particolare, Trump potrebbe scoraggiare le esportazioni europee negli Stati Uniti, preferendo altri mercati (a cominciare da quello della Gran Bretagna post Brexit) e boicottando i trattati Eu-Usa. Soprattutto potrebbe dare una spallata formidabile alla Nato, rivolgendo più benevole attenzioni a Putin. E non c’è dubbio che - dal 1945 in poi - la Nato ha costituito non solo la struttura profonda dell’asse preferenziale tra Stati Uniti ed Europa ma anche la base della sicurezza europea.

Come reagirà a tanta annunciata tempesta l’Europa? Quali saranno le conseguenze del trumpismo da noi? Gli esercizi di fantapolitica espongono a brutti rischi chi li propone, e bisogna riconoscere che si apre davanti all’Europa uno scenario eccezionalmente complicato. Da un lato, la minestra riscaldata del “politics as usual” non ci porta da nessuna parte. Potrebbe solo condurre l’Unione a ripetere ma con minore convinzione i propri riti formalistici favorendo la progressiva disaffezione di molti. Fino a lasciare il campo a partiti populisti ed euroscettici, e così sfaldarsi progressivamente. Nella seconda e più attraente versione, invece, l’Europa si dà una smossa, favorisce politiche sostanziali anti-crisi, trova il coraggio di affermare che c’è bisogno di più e non meno Europa. Qualcosa del genere - dicono però gli esperti - non si realizzerà facilmente perché gli effetti del trumpismo si faranno sentire anche da noi favorendo le forze populiste ed euroscettiche.

Il clima di “trumpismo globale”, come è stato chiamato, raccoglie le energie degli emarginati e degli esclusi per favorire un ricambio di élites stanche e incapaci di ribaltare la crisi economica, sociale ed etica che attanaglia l’Occidente. Al tempo stesso però tale clima genera rabbia populista, sfiducia nelle istituzioni, astio sociale, odio verso i migranti, e nel nostro caso impossibilità di tenere unita l’Europa. Che dire? Da inguaribili utopisti quali siamo speriamo ardentemente di potere avere il rinnovamento senza l’imbarbarimento, il cambiamento sociale senza la furia distruttrice, la trasformazione senza il razzismo. Perché alla fine della fiera il problema dell’Europa non consiste nel credere in ideali di eguaglianza, libertà, pace, prosperità e unità nella differenza. Consiste piuttosto nel non avere sempre il coraggio di difenderli e la capacità di scommettere sul futuro. Vuoi vedere che - con l’aiuto involontario di Mister Trump - messi di fronte a un problema decisivo questa volta ci riusciamo?

 
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