Panama Papers, bufera Cameron: «Adesso deve dimettersi»

Panama Papers, bufera Cameron: «Adesso deve dimettersi»
di Luigi Fantoni
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Sabato 9 Aprile 2016, 09:24
LONDRA - La tempesta perfetta si addensa su David Cameron. È bastato un documento, fra i milioni fatti filtrare nello scandalo a puntate dei Panama Papers, a mettere nei guai il premier conservatore britannico a poco più di due mesi dall'appuntamento cruciale del referendum sul destino europeo del Regno Unito. Fino a far mormorare a qualcuno la parola “dimissioni”.

LA SOCIETÀ DEL PADRE
Colpa dei segreti venuti a galla sulla società offshore costituita dal padre Ian, un facoltoso broker morto nel 2010, nel rifugio fiscale panamense. Un'attività su cui Cameron ha provato in un primo momento a glissare («questione privata», l'infelice uscita iniziale di una portavoce); salvo poi accettare di rispondere, ma solo per dire di non avere conti offshore in prima persona e, successivamente, per assicurare di non aver mai «beneficiato» né di intendere «beneficiare in futuro» con la sua famiglia del patrimonio paterno. Finché, braccato dal rischio di nuove rivelazioni, ha ammesso di aver in realtà detenuto 5000 quote di quel fondo e di averle vendute per «circa 30.000 sterline» prima di prendere possesso della carica di primo ministro sei anni fa.

Un'operazione legale, insiste Cameron, condotta «in modo normale» nel rispetto della normativa fiscale. Ma senza convincere le opposizioni e tanto meno i giornali, che ieri - dal progressista Guardian al filo-conservatore Telegraph, dai tabloid più populisti al Financial Times - lo criticano senza eccezioni. Il problema è l'ammontare di quelle tasse da paradiso caraibico (poca roba sui dividendi, nulla sui capital gains, secondo le parole del premier medesimo). Ma anche e soprattutto il fatto che il leader Tory abbia mentito. O come minimo cambiato versione a più riprese, annaspando in contraddizioni che secondo diversi commentatori celano «ipocrisia». L'ipocrisia di chi, rileva proprio il Ft, ha intascato profitti da privato cittadino ed erede grazie a quel controverso fondo paterno, mentre in veste di capo del governo condannava l'elusione e l'evasione fiscale. A complicare la situazione per Cameron vi è un concentrarsi di circostanze sfavorevoli potenzialmente micidiali: in primo luogo il referendum sulla Brexit del 23 giugno, che lo vede alfiere del “no” al divorzio da Bruxelles, ma sotto il tiro di un robusto fronte anti-Ue che ha spaccato il suo partito e il suo stesso governo; e poi lo scivolone recente sulla finanziaria, con le nuove rasoiate allo stato sociale e persino il taglio (alla fine rimangiato) sui fondi ai disabili; o ancora la crisi delle acciaierie con 40.000 posti di lavoro in pericolo fra Galles e Inghilterra e le accuse montanti all'esecutivo d'aver sabotato gli sforzi europei contro le importazioni sottocosto cinesi in omaggio agli affari bilaterali Pechino-Londra.

DIMISSIONI
A parlare esplicitamente di dimissioni è il deputato laburista, John Mann, con il numero 2 del partito, Tom Watson. Gli indipendentisti scozzesi dell'Snp intimano a loro volta «chiarezza» e «trasparenza». Mentre il cancelliere dello scacchiere ombra, John McDonnell, parla di «fiducia erosa», e il libdem Tim Farron di comportamento «moralmente vergognoso». Ultimo a rompere il silenzio il leader del Labour, Jeremy Corbyn, che accusa Cameron di aver «ingannato l'opinione pubblica» aggiungendo che «ci sono voluti cinque giri di parole per ammettere che egli ha personalmente approfittato di un fondo d'investimento non dichiarato in un paradiso fiscale caraibico».
Dagli “armadi” di Panama continuano intanto a uscire carte e nomi di ricchi, potenti e famosi del pianeta (italiani compresi, ieri sull'Espresso l'elenco dei primi cento). Intanto, mentre a Ginevra la procura punta l'occhio su 1500 intermediari svizzeri dello studio Mossack Fonseca, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) annuncia per il 13 aprile a Parigi la convocazione di un vertice delle autorità fiscali di un gran numero di paesi avanzati. L'obiettivo è trovare l'accordo su «un'azione di collaborazione» e per la «condivisione di informazioni».