In Occidente la crisi delle vecchie rappresentanze politiche

di Biagio de Giovanni
5 Minuti di Lettura
Martedì 24 Maggio 2016, 00:07
Alla fine l’estrema destra austriaca non ha vinto le elezioni presidenziali, ed è più che legittimo il respiro di sollievo da parte di chi crede nell’Europa. Ma si annoti subito un elemento: il risultato a favore del verde Van der Belden è stato reso possibile dal voto dei non-residenti, cosa pienamente legittima costituzionalmente - non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo - ma che non è privo di significato politico: le élites cosmopolite, diffuse ormai dappertutto oltre confine, hanno in stragrande maggioranza votato per il candidato repubblicano. La maggioranza di chi vive in Austria, quello che una volta si sarebbe chiamato il suo “popolo”, aveva dato, invece, più voti a Hofer, di stretta misura, ma ben sufficienti per la sua elezione; insomma un dato ben diverso da quel diluvio politico che si scatenò, parecchi anni fa, a favore di Chirac, in Francia, quando il competitore del ballottaggio era Le Pen padre. E Hofer non è da meno di quello, perfino in atteggiamenti di equivoca nostalgia verso il passato.

Sta avvenendo qualcosa di profondo. Le società perdono le loro aggregazioni tradizionali, quelle intorno alle quali si era sviluppata una narrazione politica e ideologica che riusciva a tenere insieme la vita sociale organizzata; a definirne le aspirazioni; a coglierne le specifiche collocazioni culturali e politiche. La crisi politica dell’Europa si manifesta, oltre che nei fatti sui quali da mesi e mesi si discute - economia, rifugiati, terrorismo, lasciamoli lì per una volta - nella crisi profonda dei partiti politici che le hanno dato vita, socialisti e popolari. Essi riuscivano ad equilibrare le diverse culture, mantenendo vivo il dialogo tra i gruppi dirigenti, in una lotta regolata dal reciproco riconoscimento che si manifestava nel dibattito pubblico politico. Conflitto e mediazione, uno incastrato nell’altra, perfino tra forze decisamente opposte tra loro. 

Ora sta avvenendo qualcosa di diverso, che incrina il tessuto repubblicano, e qui val ben le pena un veloce riferimento a ciò che sta avvenendo in America, nel testa a testa previsto tra Trump e la Clinton. Al di là dei tratti diversi di questi fenomeni, qualcosa si sta verificando nel tessuto profondo dell’Occidente: crisi delle vecchie rappresentanze politiche per il venir meno della loro rappresentazione della società; caduta verticale del dibattito pubblico organizzato; i flussi di opinione di massa abbandonati a se stessi, e il riemergere assillante della figura del capo carismatico che cavalca, con più o meno di intelligenza, sia problemi reali irrisolti, sia paure ancestrali, sia sensi di ribellione contro la casta politica, un fenomeno che si estende a macchia d’olio e che si colloca nell’orizzonte visibile della crisi di una borghesia sradicata dal processo di globalizzazione: una borghesia, la realtà spirituale, non sociologica, di cui parlava Benedetto Croce, che ha rinunciato al suo protagonismo politico, e che forse non esiste più nella dimensione culturale di un passato ancora recente. 

Come in tutti i momenti di transizione, il vecchio non è ancora tramontato e il nuovo non riesce a nascere, ed emergono fenomeni morbosi, difficili da collocare nelle categorie politiche con le quali abbiamo convissuto per decenni e decenni. L’Europa subisce in modo particolarmente aspro questo grande momento di squilibrio. Ho già promesso di non fermarmi sugli aspetti più vistosi, che, come problemi irrisolti e che premono alle porte, sono il segno di una immagine spenta. Segno di una crisi sulla propria identità, crisi che è cresciuta, anche perché parlare di identità dei popoli che formano l’Europa è stato spesso interpretato, nell’ortodossia europeista, come discorso regressivo da lasciare ai nostalgici. L’Europa, si diceva, è lo spazio della tutela dei diritti dell’uomo, che sarà la base della sua unità politica, e tanto sembrava bastare: il cielo dell’universalismo finalmente toccato con mano. E ora dappertutto muri, confini, respingimenti, difese, addio diritti dell’uomo, guardie di confine, Schengen in difficoltà, una fitta nebbia cade su tutto, un nuovo senso comune si va profilando. 
 
Intanto l’identità storica, politica, culturale - le tante Europe che formano l’Europa - si annebbiava, e dietro questo annebbiamento ecco il ritorno dei rapporti di forza, comanda chi è più forte secondo il principio arcaico di un celebre “Frammento” greco. Ma nell’Europa germanizzata di cui ormai molti parlano, ecco riemergere, d’improvviso, tutti i temi che, non risolti, si ripresentano in disordine; non controllati da un’agenda politica, in ordine sparso, ora l’uno ora l’altro, e i flussi di opinione di massa seguono il loro ritmo, le loro cadenze. E, su tutti, il tema dei temi: il contrasto tra un cosmopolitismo incompiuto e una democrazia nazionale che si irrigidisce nelle sue nostalgie, tra un costituzionalismo europeo sempre più lontano e verboso, e una costituzione nazionale che perde la sua presa sulla realtà che le sta intorno. Un tema che si traduce in quella che si chiama lontananza delle istituzioni dalla vita reale, con l’anomia delle masse che ritorna. 

Ecco allora i populismi, ecco Hofer, anche se non vincente, ecco Le Pen, ecco la Lega e tanti altri, molti ancora senza nome, ma di cui si avverte il lavorio nascosto nei sottoscala delle società e anche in certi tratti di una cultura irrisolta. Non è necessario dire molto di più. Si apre un periodo lunghissimo, carico di contraddizioni. Non so se anche di lotta politica, forse sarebbe un bene perché nella lotta le identità si definiscono, le culture riprendono il loro ruolo. Qualcuno ha detto che senza un nemico non è possibile nessuna politica. Non è questa la sede per argomentare su temi generali, ma certo sta forse per venire il momento in cui sotto la pressione di mille eventi, interni ed esterni, la politica riprenderà a parlare, non a presentarsi più come pura agenzia per l’esecuzione di verità che sono state giudicate indiscutibili, non si sa bene dove. La lotta ai populismi si fa così, non piangendo sui loro successi.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA