Lord Mandelson: «Se Londra rompe con Bruxelles pagherà un prezzo molto alto»

Lord Mandelson
di Maria Latella
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Giovedì 21 Luglio 2016, 14:12 - Ultimo aggiornamento: 22:54
«C'è un fil rouge che lega gli eventi ai quali stiamo assistendo. Certo, una cosa sono gli attentati in Francia e un'altra le tensioni razziali negli Usa. Ma il vento anti-establishment soffia ovunque. La globalizzazione ha reso oscenamente ricchi alcuni mentre molti altri si sono ritrovati perdenti. Questa situazione non è più sostenibile. Ci vuole un nuovo bilanciamento».

Di questi tempi neppure Peter Mandelson riesce ad essere ottimista. Lord Mandelson, inventore del New Labour, ministro di molti governi con Tony Blair e con Gordon Brown, protagonista di quella felice stagione britannica ribattezzata Cool Britannia è appena rientrato da Singapore dove lo porta spesso il suo ruolo di presidente della sua Global Counsel, società di consulenza strategica. Distingue tra gli attacchi terroristici subiti dalla Francia e quanto sta accadendo negli Usa, ma vede nella mancata reazione delle elites alla crescente ineguaglianza la miccia che sta scatenando tutto.

Anche il risultato del referendum su Brexit è stato letto in chiave anti-establishment.
«Nel breve e medio termine la globalizzazione non ha portato a tutti i vantaggi che ci si attendeva. Il nostro impegno per una economia liberale dovrà svilupparsi dentro una cornice di politiche socialdemocratiche. Abbiamo sempre detto che la priorità è la crescita. E va bene. Ma tutti dovrebbero beneficiare della crescita. E questo finora non è successo. Dobbiamo dimostrare che i cambiamenti economici avranno impatti positivi per tutti. È questo che conta».

Restiamo su Brexit. A questo punto che cosa converrebbe alle due parti in causa, UK e UE?
«Penso che sia utile per entrambi mantenere una forte relazione. Per il Regno Unito l'ideale sarebbe seguire la strada della Norvegia ma questo significherebbe negoziare sulla libertà di movimento. La Gran Bretagna deve essere realistica, non coltivare stupide illusioni».

Il neo ministro per la Brexit, David Davis, ha già annunciato che se nei prossimi due anni il numero di migranti europei in Gran Bretagna crescerà troppo, i nuovi arrivati saranno rispediti a casa. Che cosa ne pensa?
«Se la posizione di Davis è quella del governo britannico saremo noi a pagare il prezzo economico. Bruxelles non potrà accettare tutte le nostre richieste. Ma penso che un accordo si troverà».

Lei è stato a lungo a Bruxelles, conosce bene l'arte di negoziare in quella sede. Quanto durerà la negoziazione per Brexit?
«Nei primi due anni si dovrebbe riuscire ad arrivare all'approvazione di vari capitoli. Un primo step. Poi ci sarà una seconda fase. Per la mia esperienza a Bruxelles, so che i negoziati di solito lasciano insoddisfatte entrambe le parti, il che alla fine sarà una buona cosa. La gente capirà quanto è difficile modificare quarant'anni di partecipazione britannica alla vita dell'Unione europea».

Se dovesse sintetizzare il percorso del negoziato?
«Non sarà semplice. Non sarà indolore. E non sarà veloce».

Fino a qualche giorno fa si favoleggiava di spostamenti di sede per grandi banche d'affari e multinazionali. Via da Londra verso Dublino, Parigi, Francoforte o Milano. A mente più fredda, è davvero quel che accadrà?
«Impossibile generalizzare ma certo banche d'affari e multinazionali vanno dove le porta la loro regolamentazione e questo significa che molte società dovranno rivedere le loro location, spostarsi nel continente».

Altri pensano che la Gran Bretagna diventerà piuttosto una Grande Panama, un gigantesco paradiso fiscale. Andrà cosi?
«Sarebbe un disastro. Non credo che possa essere questo il futuro del Paese. Non si sostiene il nostro tenore di vita, il nostro sistema sanitario o scolastico diventando un paradiso fiscale. Sarebbe uno choc, distruggerebbe ogni opportunità per le nuove generazioni».

Welfare, istruzione pubblica, sistema sanitario sono i punti di forza del Labour party. Lord Mandelson cosa succederà al suo partito?
«La Brexit ha vinto per un soffio e ora il Labour ha la grande chance di poter parlare a quella metà del Paese che voleva restare in Europa. Purtroppo non ha un leader in grado di farlo. Chi sarà il prossimo capo dei laburisti? Chiunque può fare un lavoro migliore di Corbyn».

L'uomo che ha rappresentato il cambiamento, quel Tony Blair un tempo popolare, oggi, dopo il rapporto Chilcot sulla guerra in Iraq, è considerato un bugiardo.
«In UK è visto sotto un duplice aspetto. Quello del leader forte, che aveva una strategia per il suo Paese e quello del premier il cui nome è associato alla guerra in Iraq. Per ora l'immagine resta negativa, ma nel lungo termine la storia lo riabiliterà».

Oggi, si dice, c'è un deficit di leadership in Europa. Cancelliera Merkel a parte...
«Anche la Merkel deve fare i conti con il populismo crescente in Germania. Da voi, in Italia, Matteo Renzi, che pure ha dimostrato di avere la forza per arrivare a Palazzo Chigi, non ha più molto tempo per fare le riforme importanti ma difficili. C'è una generale disillusione nei confronti dei governanti. La politica deve rinnovarsi, trovare una vera sintonia con l'opinione pubblica. Altrimenti verrà inesorabilmente percepita come l'establishment incapace di portare risultati».
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