Strage in Israele, Hamas-Califfato, l'asse che preoccupa Tel Aviv

Strage in Israele, Hamas-Califfato, l'asse che preoccupa Tel Aviv
di Cristiano Tinazzi
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Lunedì 9 Gennaio 2017, 08:24 - Ultimo aggiornamento: 10 Gennaio, 08:32

ROMA Fadi al Qanbar, l'attentatore di Gerusalemme, sarebbe un uomo dell'Isis, secondo quanto riferito dal Premier Benyamin Netanyahu. Al momento, però, lo Stato Islamico non ha rivendicato l'attentato. Da Gaza, invece, Hamas plaude all'attacco del giovane palestinese di Gerusalemme est, definito dalle Brigate Qassam, ala militare del gruppo, un «mujahid, un combattente» che era stato rilasciato in precedenza dalle prigioni israeliane. Il portavoce del movimento, Hazzem Qassem, ha scritto invece sulla sua pagina Facebook che «le continue operazioni in Cisgiordania e a Gerusalemme est provano che l'Intifada di Gerusalemme non è un evento isolato, ma piuttosto una decisione del popolo palestinese di ribellarsi finché non otterrà la sua libertà e la liberazione dall'occupazione israeliana».

LA CRISI
Hamas sta vivendo una situazione difficile nei territori palestinesi sotto il suo controllo, a causa del conflitto siriano e per le sue posizioni politiche, considerate troppo moderate da gruppi attratti dal richiamo del califfato. In una situazione di stallo militare contro Israele e con alleanze internazionali poco giustificabili agli occhi del mondo sunnita, l'organizzazione palestinese scopre così il fianco a possibili infiltrazioni di elementi filo Isis sul suo territorio. Sul tavolo anche l'ipotesi di un avvicinamento tra Hamas e lo stato islamico (come riferito da alcune fonti di intelligence lo scorso settembre, ma mai confermato).

Hamas, pur essendo una realtà sunnita, ha infatti forti legami con l'Iran sciita (alleato del regime di Assad e nemico sul terreno siriano dell'Isis) e con gli Hezbollah libanesi (anch'essi sciiti), dai quali riceve supporto e finanziamenti. Ma è anche vero che dal 2011, ovvero dall'inizio del conflitto siriano, i vertici di Hamas hanno mantenuto posizioni ambivalenti nei confronti del regime di Assad. Uno strappo che sembrava definitivo è stata la partenza da Damasco nel 2012 di Khaled Meshaal, il capo dell'Ufficio politico di Hamas, dopo essersi rifiutato di sostenere apertamente il regime siriano di Assad.

IL COMUNICATO
Lo scorso quattordici dicembre, ad esempio, Hamas ha rilasciato un comunicato definendo «genocidio» quello che stava avvenendo ad Aleppo, senza però nominare direttamente il regime siriano. La base del movimento si è spesso dichiarata solidale con la rivoluzione: l'associazione studentesca palestinese, legata al gruppo, lo scorso diciassette dicembre ha organizzato una manifestazione in solidarietà con la popolazione di Aleppo accusando gli autori dei crimini di massa uguali a quelli compiuti dal «nemico israeliano». Ma Hamas, nonostante tutto, non può permettersi un distacco totale dall'Iran, suo principale sostenitore e finanziatore (250 milioni di dollari l'anno). Il portavoce dell'organizzazione, Husam Bsdran, ha recentemente dichiarato infatti alla rivista Al Monitor che nonostante quello avvenuto ad Aleppo «non cambierà posizione riguardo alle sue relazioni internazionali».