Elettori da rispettare/ Da Londra una lezione anti-scorciatoie per l’Italia

Elettori da rispettare/ Da Londra una lezione anti-scorciatoie per l’Italia
di Virman Cusenza
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Sabato 10 Giugno 2017, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 18 Ottobre, 21:47
Non forzare la mano. Ecco la prima lezione che ci viene da Londra. Non scaricare sugli elettori il peso di scelte e responsabilità che competono esclusivamente alla politica. È la seconda volta in due anni che gli inquilini di Downing Street provano a dribblare macigni sulla loro strada chiedendo ai britannici che rotta seguire, anziché indicarne una. E per la seconda volta in dodici mesi gli elettori arrabbiati o frastornati rispediscono la palla a chi l’ha lanciata loro per liberarsi la coscienza. La prima volta hanno sorpreso l’incauto ex premier David Cameron avallando il Leave, l’ok di misura alla rovinosa Brexit. La seconda, giovedì, hanno detto chiaro e tondo alla signora May che ha sbagliato i suoi calcoli, cercando un azzardo prontamente punito. 

Un risultato facilmente prevedibile, anche senza ricorrere alle proverbiali furbizie inglesi. E il non averlo messo nel conto deriva proprio da un clamoroso errore di lettura del risultato referendario di un anno fa. La maggioranza per l’uscita dall’Europa si affermò, ricordiamolo, per un soffio. Dando l’immagine di un Paese fortemente diviso tra il Centro europeizzante e la Periferia scontenta e ribelle ai lacci dell’Unione. La scossa fuori e dentro il Paese venne avvertita lacerante, ma la maggioranza parlamentare di Cameron rimase intatta a Westminster. Apparentemente non toccata e immediatamente spendibile per la nuova avventura all’insegna di una dura trattativa con Bruxelles. 
Oggi, ad un anno di distanza, il responso degli inglesi alle richieste della May di ricevere un mandato ancora più forte per negoziare condizioni migliori con l’Unione Europea si è tradotto in un drastico indebolimento della premier conservatrice.

Che adesso dovrà arrancare in Parlamento per rimettere insieme i cocci della sua maggioranza e inevitabilmente siederà ancora più debole al tavolo con la Commissione Ue.
L’insegnamento da trarne non vale solo per Londra. E ci dice che prima di scomodare gli elettori, almeno nelle democrazie occidentali, si deve prospettare loro un orizzonte. Offrire una visione sulla mèta a cui condurre il Paese. Prospettare soluzioni che non ne indeboliscano l’economia o il sistema politico-istituzionale, che non è un totem intangibile ma un format modellato per produrre efficienza e risultati. Ci dicono che i leader non devono cercare conforto dagli elettori, ma darlo. Per esempio, prospettando un quadro di alleanze utili a formare maggioranze, e quindi governi, almeno stabili quando non è possibile offrire formule omogenee. 

In Italia il rischio che stiamo correndo, al di là del sistema elettorale che verrà adottato, è quello di fissare la data delle urne ancor prima di aver definito i confini del campo. Hanno ancora un senso le coalizioni legate ai due vecchi poli, destra e sinistra? È ancora costretto il Pd a convivere o a fare fronte con il suo fianco sinistro, oppure no? Deve ancora fare i conti Berlusconi con il radicalismo leghista e con la neodestra, oppure no? Possono i partiti contarsi senza mettere in conto l’imprevedibile mancanza di numeri per formare maggioranze in Parlamento?

Senza queste risposte, resteremo ostaggio di corse velleitarie. E soprattutto non faremo tesoro abbastanza delle sconfitte altrui. A Londra si apre una fase di incertezza, temperata però dall’assenza o quasi di partiti populisti in Parlamento. Perfino i separatisti dell’Ukip sembrano estinti dodici mesi dopo il loro exploit. In Italia, purtroppo, non è affatto così. E oggi compulsare gli elettori senza offrire loro una ricetta chiara, unico antidoto alla deriva demagogica, si rischia di rincorrere proprio quei movimenti che cavalcano in superficie gli istinti e le ubbie dei non rappresentati. Un bel paradosso che finirebbe con il dare ragione al capopopolo di turno.
 
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