Il commissario Ue Avramopoulos: «Migranti e jihad, l’Italia non è sola»

Il commissario Ue Avramopoulos: «Migranti e jihad, l’Italia non è sola»
di Teodoro Andreadis Synghellakis e Fabio Veronica Forcella
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Giovedì 12 Gennaio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 13 Gennaio, 08:19
Commissario Dimitris Avramopoulos, lei oggi è a Roma per una serie di incontri istituzionali. Il ministro Marco Minniti qualche giorno fa ha presentato il nuovo Piano italiano sul tema dell’immigrazione. Un’iniziativa che, tramite Twitter, lei ha dichiarato ripetutamente di voler sostenere.
«Il ministro Minniti può contare sul mio pieno supporto per quanto riguarda la sua strategia globale sul tema dell’immigrazione. In questi ultimi anni l’Italia si è fatta carico di grandi responsabilità».

Tuttavia, converrà anche lei che nessuno Stato membro da solo può far fronte a una crisi così lunga e così grave.
«Vero, è una sfida che richiede un approccio europeo su tutti i fronti. Per questo sono in Italia».

È quindi possibile coniugare accoglienza e sicurezza?
«Sicuro. In primo luogo, tutti i migranti che arrivano in Italia e in Grecia ora sono propriamente registrati, identificati e vengono raccolte le loro impronte digitali. Trovo encomiabile l’enorme progresso fatto da entrambi i paesi su questo fronte. Sono anche importanti gli ulteriori controlli eseguiti con il supporto di Europol. Bisogna proseguire su questa strada e intensificare queste attività anche nella fase successiva all’arrivo dei migranti».

Che cosa sta facendo concretamente l’Europa?
«Il primo sforzo è supportare gli stati membri nella loro lotta contro la radicalizzazione. In sostanza, il nostro dovere di offrire protezione non può andare a discapito della sicurezza dei nostri cittadini. Allo stesso tempo, però, il bisogno di sicurezza non può andare a discapito della nostra apertura».

Un fronte delicato è quello delle espulsioni. La normativa europea prevede che si dia il via all’espulsione dei richiedenti asilo già dopo un primo giudizio negativo e l’Italia sta adeguando la sua legislazione. Molti però criticano ciò che chiamano mancato rispetto dei diritti dei migranti. Nel mirino sono anche finite le condizioni di vita all’interno dei centri di identificazione.
«I rimpatri sono una componente fondamentale di un’efficace politica migratoria e per fare in modo che le nostre risorse siano concentrate su chi ha effettivo bisogno di protezione. Non vi è contraddizione tra il rimpatrio dei migranti privi dei requisiti e il rispetto dei loro diritti insieme al principio di non-refoulement. E poiché il numero delle decisioni di rimpatrio sta aumentando, gli Stati membri devono adeguare le loro procedure al fine di garantire il mantenimento di un iter efficiente».

In che modo?
«Facendo leva anche sulla flessibilità concessa dalla Direttiva Rimpatri. Qualora necessario, il trattenimento dei migranti può essere utilizzato al fine di facilitare l’identificazione, evitare il rischio di fuga e, in tal modo, assicurare il rapido rimpatrio degli irregolari. L’Unione supporta gli Stati membri finanziariamente affinché tutto ciò avvenga senza problemi e secondo standard rodati. L’attività della nuova Guardia costiera preposta ai rimpatri è un importante passo avanti verso tale obiettivo».

Dopo gli ultimi attacchi terroristici e l’incredibile fuga di Anis Amri dalla città di Berlino, la questione della sicurezza è tornata prioritario. Non teme che si possa confondere, sempre più nell’opinione pubblica, il tema dell’immigrazione con il terrorismo?
«Con l’aumento del nazionalismo e della xenofobia questo rischio è già presente. Ma non dobbiamo permettere in nessun modo che la paura sommerga i nostri valori fondamentali di apertura, libertà e tolleranza. Coloro che cercano veramente protezione in Europa fuggono per l’appunto dal terrorismo. Dobbiamo assicurarci che malintenzionati non abusino dei nostri sistemi d’asilo e della nostra generosità. Per questo motivo è importante che le nostre autorità nazionali e tutti i nostri sistemi di raccolta dati siano interconnessi e comunichino tra loro, in modo tale da non trascurare fin dall’inizio alcuna minaccia o sospetto».

Secondo recenti dati diffusi da Frontex, nel 2016 gli sbarchi in Italia sono aumentati del 20%, in Grecia sono diminuiti del 79% dopo l’accordo dell’Europa con la Turchia. La situazione in Turchia teme possa avere ripercussioni sulla tenuta di questo accordo?
«Mi risulta che sia l’Europa che la Turchia siano seriamente impegnate a tenere la posizione. L’Unione ha bisogno della Turchia e questa dell’Unione non solo sul tema dell’immigrazione, ma anche su molte altre questioni di comune interesse».

Lei sostiene anche l’idea di una più forte collaborazione con i paesi africani.
«La questione migratoria è diventata sempre di più una sfida globale, che richiede forme di cooperazione rafforzata con i paesi vicini. Questo è il motivo per cui dobbiamo investire di più nei nuovi partenariati che abbiamo creato con paesi chiave in Africa. Le recenti visite del ministro Minniti in Libia e Tunisia rappresentano dei contributi importanti su questo fronte».

Gli arrivi degli immigrati sono in cima alle preoccupazioni di italiani ed europei. Una questione che preoccupa forse più della crisi economica. Quali risposte concrete può dare oggi l’Unione?
«Immigrazione e lotta contro il terrorismo continuano a essere due priorità assolute. Benché questi temi siano totalmente distinti, entrambi richiedono soluzioni globali e congiunte. Questo spiega perché tutto ciò che la Commissione ha proposto nelle Agende sulla migrazione e sulla sicurezza deve essere attuato agendo insieme. Naturalmente non esiste una ricetta magica, ma pensiamo di fare il meglio».

Papa Francesco insiste nel sottolineare la necessità di integrare i migranti nei tessuti sociali dei paesi in cui si inseriscono, garantendo, ovviamente, il rispetto delle leggi. L’Europa è pronta ad accogliere il suo appello?
«Sua Santità ha ragione. Il più grande errore del passato che rischiamo di ripetere ora è di sottovalutare la necessità di integrare coloro che sono recentemente arrivati e che lo meritano. L’arma più forte che abbiamo contro l’isolamento e le società frammentate è assicurare che ciascuno sia pienamente partecipe».

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