Italiani tra dubbi e timori: si prepara la fuga dalla City

Italiani tra dubbi e timori: si prepara la fuga dalla City
di Cristina Marconi
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Giovedì 6 Ottobre 2016, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 07:54
LONDRA Quando Theresa May dice che «chi crede di essere cittadino del mondo non è cittadino di nessun luogo» si riferisce anche ai 3,2 milioni di europei registrati a vivere nel Regno Unito, di cui 2,2 milioni di lavoratori. Di questi, un terzo vive a Londra. Pur non essendo la maggioranza degli 8,6 milioni di stranieri nel paese, gli europei sono il gruppo che è cresciuto più rapidamente soprattutto dal 2004 in poi, grazie all’arrivo di più di 800mila polacchi e di molti altri lavoratori dell’Est, impiegati soprattutto nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura.

LE DOMANDE
In questi giorni di proclami forti da parte della politica, sono in tanti a farsi delle domande sul proprio futuro nel Regno Unito, anche tra gli italiani. Perché sebbene quella del governo conservatore abbia tutta l’aria di una strategia pensata per scoraggiare l’immigrazione in maniera preventiva, prima ancora di iniziare un negoziato in cui il prezzo da pagare per consegnare agli elettori l’abolizione della tanto vituperata libera circolazione dei lavoratori potrebbe essere troppo alto, il paese post-Brexit presenta molte, troppe incognite.

I NUMERI
Tra i 272mila italiani registrati all’Aire (ma si stima che il numero totale sia più del doppio), in molti ammettono di stare pensando ad un trasferimento in un altro paese o magari ad un ritorno in Italia, soprattutto nelle città che come Milano stanno dando forti segnali di dinamismo. E i più motivati a tornare sarebbero i manager, per i quali le opportunità in Italia si stanno moltiplicando, mentre tra i giovanissimi l’ingresso nel mondo del lavoro continua a restare più facile nel Regno Unito. In un contesto così imprevedibile come quello post-referendum, oltre al rinvio di decisioni importanti come l’acquisto di una casa o l’avvio di un’attività economica, uno degli effetti più vistosi è una vera e propria corsa a chiarire la propria posizione.

«Stiamo assistendo ad un aumento vertiginoso di iscrizioni all’Aire, abbiamo circa 3mila domande al mese», spiega il console generale Massimiliano Mazzanti, secondo cui si tratta soprattutto di un fenomeno di «emersione» di persone che già vivevano qui da tempo ma che, vista l’aria che tira, hanno deciso di regolarizzarsi. O di italiani di seconda generazione che, oltre ad un passaporto britannico col quale potrebbero non essere più liberi di viaggiare nell’Unione europea, stanno facendo richiesta del passaporto italiano – sono 2.500 al mese – oppure addirittura, per circa 1000 altre persone, della cittadinanza.

IL QUADRO
Secondo i dati dell’Osservatorio sulle migrazioni di Oxford, il 22% degli europei nel Regno Unito lavora nel settore della ristorazione e dell’ospitalità, mentre un altro 21% è nella pubblica amministrazione, nell’istruzione e nella sanità. I medici italiani, ad esempio, sono oltre 4mila su 30.500 europei in totale, e i docenti sono 22mila, di cui 6mila solo a Londra. Un altro 18% di europei opera nel settore bancario e della finanza, il 15% nella manifattura e il 10% nei trasporti e nelle comunicazioni. Le costruzioni occupano l’8% dei cittadini del Vecchio Continente mentre l’agricoltura solo l’1%. Risorse importanti, di cui difficilmente il Regno Unito può fare a meno, anche se l’elettorato ha dimostrato di pensarla diversamente.
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