Brexit, due anni per l'uscita dall'Ue: negoziati e poche regole

Brexit, due anni per l'uscita dall'Ue: negoziati e poche regole
di Marco Ventura
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Martedì 14 Marzo 2017, 08:37

ROMA La data capestro per l'effettiva uscita del Regno Unito dall'Unione sembra essere il 31 marzo 2019, prima delle elezioni per il nuovo Europarlamento. Ma i negoziatori di una parte (il Regno Unito nella persona del segretario alla Brexit, David Davis) e dell'altra (gli altri 27 Paesi membri riuniti nel Consiglio europeo e rappresentati nelle trattative da Michel Barnier della Commissione) dovranno affrontare un terreno unanimemente riconosciuto vergine. Mai prima percorso, perché nessun membro dell'Unione ha mai prima invocato, come farà il premier britannico Theresa May, l'articolo 50 del Trattato di Lisbona del dicembre 2009. Che prevede, appunto, la possibilità di recesso di singoli Stati.

DECISIONE UNANIME
I due anni, poi, sono soggetti a proroga e potrebbero facilmente diventare cinque, purché la decisione sia unanime. La brevità del famigerato art. 50, che si compone di 5 paragrafi e appena 250 parole, è la riprova che nessuno ha mai pensato di doverlo usare davvero. E invece, una volta decisa la Brexit, Londra deve notificare la scelta attraverso una email o, se non bastasse, una lettera a mano recapitata a Bruxelles. La notifica precede la definizione, da parte dei 27, di linee guida, ovvero principi e posizioni generali, propedeutici ai negoziati. Vige la regola della libertà dei negoziatori di modificare in corso d'opera gli orientamenti e criteri per il negoziato. Numerosi i tavoli tecnici e inevitabile, nei passaggi decisivi, l'approvazione dei capi di governo.

I mediatori devono guardare all'assetto futuro delle relazioni tra la UE e lo Stato che se ne tira fuori, tenendo presente l'articolo 218 del Trattato sul funzionamento della UE. Previo consenso del Parlamento europeo, il Consiglio dovrà poi approvare a maggioranza qualificata l'intesa. Un ruolo importante sarà rivestito dal mediatore-ombra del Consiglio, il diplomatico belga Didier Seeuws. Uno dei nodi consisterà nello scegliere i tempi: la contemporaneità o la successione dei singoli punti di negoziato, a seconda della durata che Londra e Bruxelles vorranno dare all'uscita di scena del Regno Unito.

Il premier britannico, Theresa May, ha optato per l'hard Brexit, e spinto sull'acceleratore in accordo coi risultati del referendum. Ma dovrà fare i conti con la resistenza della City, degli ambienti finanziari spaventati dalla necessità di rinegoziare tariffe doganali e accordi bilaterali commerciali che sostituiranno quelli sotto ombrello dell'Europa. Inoltre, si pone già pubblicamente il problema dei cittadini europei residenti in Gran Bretagna (studenti, professionisti e altri lavoratori) e quello speculare dei britannici che lavorano nel resto dell'Unione. Diritti da tutelare secondo criteri di reciprocità.

IL PROCESSO
La possibile proroga dei due anni iniziali fa pensare a osservatori pessimisti (o ottimisti, secondo i punti di vista) che potrebbero volerci anni per completare il processo. Fino alla proclamazione ufficiale della Brexit, la Gran Bretagna resta membro dell'Unione, beneficiando di prerogative ma anche assolvendo agli impegni (in particolare finanziari) richiesti dai Trattati. La rappresentanza politica e amministrativa del Regno Unito nei Palazzi dell'Unione potrebbe perdere potere. Ma Londra rivendica la piena partecipazione alle politiche comunitarie finché non sia completata la fuoriuscita.

IL VERTICE
Inizialmente si era ventilato un primo vertice d'emergenza dei 27 capi di Stato e di governo il 6 aprile, ma il ricorso all'art. 50 a fine marzo sposta in avanti la scadenza di un mese. Sarà una corsa a ostacoli, in cui saranno coinvolti decine e decine se non centinaia di tecnici e avvocati. La difficoltà della procedura aveva la motivazione di rendere la vita difficile a chi avesse voluto staccarsi dall'Unione. L'art. 50 non dice se il processo sia in qualche momento reversibile, invece che un biglietto di sola andata (nel caso la Gran Bretagna volesse cambiare idea e restare dentro l'Unione). Ma una volta uscito dal club, il Paese fuggitivo può sempre chiedere di rientrare. E ricominciare il processo da capo, in senso inverso. Ovviamente, sulla decisione finale pesa anche la ratifica dei Parlamenti nazionali, così come la volontà del governo scozzese di andare al referendum per staccarsi, in nome dell'Europa, dal Regno Unito.
 
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