La sfida di Vienna/ Il vento dell’Est che scompiglia i vecchi schemi

di Marco Gervasoni
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Martedì 19 Dicembre 2017, 00:51
Turchino è il colore della coalizione tra democristiani e liberal-nazionalisti della FPÖ presieduta da Sebastian Kurz e nata ufficialmente ieri. Un turchino che per molti sfuma nel cupo: Vienna dimostrerebbe la potenza dell’«onda nera», il pericolo del ritorno dell’autoritarismo, se non del fascismo. Per il momento, a dire il vero, sembriamo angosciati più in Italia che nella stessa Austria, dove ieri hanno sfilato solo in pochi contro il nuovo governo e i media, anche filo-socialisti, sembrano tranquilli.

Isolate le voci critiche pure dalla Ue e da altre capitali europee. Molte di queste nostre paure sono fondate, ad esempio sull’inaccettabile proposta di Vienna di concedere la doppia cittadinanza agli italiani alto-atesini. Altre molto meno. Più in generale, dovremmo tutti, più che incendiare gli animi, sforzarci di rendere edotti i cittadini, secondo la nota massima spinoziana «non irridere, non compiangere, non disprezzare ma comprendere». Che, nel caso del governo austriaco, vuol dire collocarlo nella crisi dei sistemi politici della Ue e nell’importanza che sta assumendo il modello dell’Est, quello offerto dai paesi fino al 1989 appartenenti al mondo comunista. A una rapida occhiata, le esperienze di governo europeo oggi prevalenti sono di tre tipi.

Abbiamo gli esecutivi socialdemocratici, sempre più marginali e in declino, in Portogallo e in Svezia. Prevalgono poi i governi che potremmo chiamare di alleanze dell’establishment, tra centro-destra e centro-sinistra: la Germania, l’Olanda, la Spagna, per certi versi la Francia (dove ex socialisti ed ex gollisti siedono al governo), e naturalmente l’Italia. E poi abbiamo i governi dell’Est. Dove le divisioni partitiche e ideologiche contano poco o nulla: un socialdemocratico come il primo ministro slovacco Fico può sposare le posizioni dell’ungherese Orban, aderente del Ppe di Angela Merkel. Quella Merkel che vede come fumo negli occhi il governo del Partito Diritto e giustizia a Varsavia. Mentre il nuovo premier ceco Babiš, uomo d’affari, si definisce «impolitico», favorevole al «governo del fare», ostile ai partiti. E tra le esperienze dell’est mettiamoci pure la Grecia di Tsipras, alleato con un partito molto simile all’«estrema destra» austriaca. Il modello dell’est è interessato soprattutto a una cosa: tutelare la propria nazione pur partecipando del quadro europeo; un’Europa intesa prima come identità e solo dopo come sistema di accordi. Ciò spiega la rigida chiusura nei confronti dell’immigrazione, la netta ostilità alla distribuzione delle quote di migranti, un certo disinteresse - per usare un eufemismo - nei confronti della divisione dei poteri e una decisa fascinazione per la democrazia plebiscitaria.

Fino ad ora noi «europei occidentali» abbiamo guardato con sufficienza a queste esperienze, svalutandole a semplici escrescenze di arretratezza, di ritardo, di un passato che non passa. Ma è forse venuto il momento di prenderle sul serio, di considerarle non effimere, di valutarle, nei loro numerosi aspetti inquietanti ma anche nei segnali che ci lanciano. Anche perché si stanno espandendo ad Ovest: vedi il governo Kurz. E, un domani, forse arriveranno anche a Roma. Certamente è questo tipo di «coalizione dell’est» che al momento è in testa nei sondaggi italiani. Con due importanti differenze. La prima: la figura di Berlusconi rappresenta una garanzia moderata e «occidentale» molto più rassicurante di quella offerta dai diversi governi dell’Est (per parafrasare De Gaulle, non si diventa dittatori a 80 anni). La seconda: la Lega, anche quella di Salvini, è un animale politico molto più complesso di quanto l’etichetta «populista» faccia intendere: e le differenze con l’FPÖ austriaca sono numerose quanto le somiglianze. In ogni caso, il vento dell’Est sta arrivando anche da noi: e sarà meglio farsi trovare coperti.
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