Amri, espulso l'amico: cercava i poliziotti che lo hanno ucciso

Amri, espulso l'amico: cercava i poliziotti che lo hanno ucciso
di Vittorio Bongiorno e Sara Menafra
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Martedì 14 Marzo 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 15 Marzo, 07:52

Era diventata una specie di ossessione. Rintracciare Luca Scatà e Cristian Movio, i due poliziotti che hanno fermato e quindi ucciso (rispondendo al fuoco) Anis Amri quando una settimana dopo l’attentato di fine dicembre a Berlino, il giovane tunsino si è dato alla fuga dirigendosi verso l’Italia e sbarcando a Sesto San Giovanni per poi dirigersi «verso sud». Trovare dunque i poliziotti, soprattutto tramite una costante ricerca via internet, per minacciarli o, forse, peggio.

È stato questo, però, l’elemento decisivo per convincere il ministro degli interni Marco Minniti che Hisham Alhaabi, 37 anni, tunisino, residente con regolare permesso di soggiorno in Italia dal 2011 dovesse essere espulso con un decreto eseguito sabato pomeriggio. Contemporaneamente all’espulsione di Alhaabi, il sostituto procuratore di Roma Francesco Scavo, titolare delle indagini sui presunti collegamenti in Italia dell’attentatore di Berlino, ha dato mandato alla Digos di perquisire le abitazioni di alcuni tra i contatti e gli amici di Amri. Non più nella banlieue abbandonata di Campo verde, dove una vecchia zona industriale è diventata luogo di spaccio e rifugio di sbandati, e dove aveva trovato alloggio lo stesso Anis Amri, ma in città, a Latina, dove il gruppo di sostenitori aveva ulteriori agganci. Il materiale sequestrato è tutto in arabo e ci vorrà tempo per tradurlo e valutarne il peso, ma nel frattempo gli inquirenti hanno avviato le indagini su almeno un altro personaggio sospetto.

IL RUOLO DI ALHAABI
Tra tutti gli indagati e perquisiti in questi mesi, Alhaabi sembra essere tra i personaggi più pesanti. Non appartiene al giro dello spaccio, di cui ha fatto invece parte Anis Amri. E’ invece un personaggio solitario, impiegato come bracciante in un’azienda agricola di Borgo Podgora per uno stipendio da fame da 5mila euro l’anno. La sua residenza, dove l’hanno rintracciato gli uomini della Digos di Latina e Roma coordinati dalla Direzione centrale della polizia anticrimine, è un fabbricato agricolo in campagna di proprietà delle due sorelle di Campoverde una delle quali, Jessica, è la compagna di Yacoubi Montasar, che ha ospitato Amri per buona parte del 2015 e ancora nel 2016. Nel cellulare di Amri, il numero di Hisham Alhaabi è quello contattato più di frequente.

Se la presunta cellula di cui faceva parte anche Amri sembra essere composta di altri cinque elementi (oltre a Montasar, il quarantaquattrenne Moues Ghidhaoudi espulso due settimane fa e le rispettive compagne e Triki Mohamed Montaser, espulso a marzo del 2016) è Alhaabi il personaggio apparentemente più rilevante. Le sue posizioni radicali, infatti, l’avevano portato a contrapporsi anche all’imam moderato di Latina Arafa Rekhia Nesserlbaz. Anche Alhaabi, come Montasar, conosceva Amri fin dal loro arrivo a Lampedusa. Erano sbarcati più o meno nello stesso periodo e insieme si erano dati alla fuga da un Cie. Poi Amri era stato fermato ed arrestato per un totale di quattro anni mentre gli altri due si erano spostati e trasferiti nelle campagne di Latina. Alhaabi ha anche un profilo facebook dal quale avrebbe preso contatti con altri gruppi islamisti.

LO SCONTRO CON L’IMAM
Il gruppo si era fatto notare anche prima dell’attentato di Berlino. La prima espulsione, infatti, è toccata a Triki Mohamed Hachemi, identificato più di un anno fa davanti alla moschea moderata di via Padova, sempre a Latina e sempre in polemica con l’imam: bloccato dalla Digos di Latina mentre distribuiva volantini che inneggiavano alla jihad contro gli infedeli a marzo scorso è partito il suo volo per Tunisi.

 

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