​Guerra all'Isis, 450 soldati italiani per proteggere la diga di Mosul

Guerra all'Isis, 450 soldati italiani per proteggere la diga di Mosul
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Mercoledì 16 Dicembre 2015, 08:33 - Ultimo aggiornamento: 26 Dicembre, 18:18


L'annuncio di Renzi dopo le frasi di Obama sull'impegno degli alleati contro la jihad

IL TERRORISMO
ROMA Qattrocentocinquanta militari italiani saranno schierati a difesa della diga di Mosul, in Iraq, una delle zone più “calde” del tormentato Paese. Lo ha annunciato ieri sera il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Saranno lì per proteggere i lavori di consolidamento assegnati alla società Trevi di Cesena. La decisione del governo italiano è una risposta concreta all'appello rivolto due giorni fa da parte del presidente Obama affinché tutti facciano qualcosa in più contro la minaccia del terrorismo.
C'è bisogno di vigilanza armata per proteggerla da attacchi terroristici e l'Italia si è presa questo incarico, cui parteciperanno anche militari di altri Paesi. Con il contingente a tutela si potranno far partire i lavori di questa grande infrastruttura, importantissima per il Paese. I tempi tecnici per l'invio dei militari richiederanno qualche settimana. Si tratta di un salto di qualità nella missione italiana, perché Mosul è una delle roccheforti dell'Isis. Ora il grosso del contingente nazionale è impiegato tra Erbil (Kurdistan iracheno) e Bagdad, con funzioni prevalentemente di addestramento.
LA STRUTTURA

La diga, che crea il più grande serbatoio artificiale d'acqua in Iraq, rimasta per anni senza lavori di manutenzione, rischia di crollare. Lo sbarramento, costruito sul fiume Tigri, fu inaugurato nel 1983, durante il regime di Saddam Hussein, con il nome di “Diga Saddam”. Alta 131 metri e lunga 3,2 chilometri, la diga ha una capacità di 8 milioni di metri cubi e approvvigiona di elettricità 1,7 milioni di residenti della regione. Per circa due settimane, nell'agosto del 2014, quando l'Isis si impadronì con una fulminea offensiva di Mosul e dell'intera provincia di Ninive, di cui la città è capoluogo, si temette che i jiihadisti potessero farla saltare in aria. Un allarme rientrato quando i Peshmerga - che tra l'altro l'Italia sta addestrando militarmente da circa un anno assieme a team militari di Germania, Gran Bretagna, Norvegia, Finlandia, Olanda e Ungheria - riuscirono a riprendere il controllo dell'impianto, con l'aiuto dei raid aerei americani.
Ma quello dell'Italia non è stata la sola risposta alla richiesta di aiuto di Barack Obama. In nome della lotta al terrorismo è infatti nata ieri una “Nato” islamico-sunnita. Un'alleanza tra 34 Paesi, non tutti a maggioranza islamica ma tutti con un islam sunnita più forte, promossa dall'Arabia saudita. Ne farà parte anche la Turchia, membro della Nato.
All'appello di Riad hanno risposto: Giordania, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Bahrein, Bangladesh, Benin, Turchia, Ciad, Togo, Tunisia, Gibuti, Senegal, Sudan, Sierra Leone, Somalia, Gabon, Guinea, Palestina, Repubblica di Comore, Qatar, Costa d'Avorio, Kuwait, Libano, Libia, Maldive, Mali, Malesia, Egitto, Marocco, Mauritania, Niger, Nigeria, e Yemen. In Turchia, Kuwait e Yemen l'adesione alla “santa alleanza” rischia di aggravare i già non facili rapporti tra sciiti e sunniti che rappresentano quasi alla pari il mondo islamico.
Di sicuro, questa “Nato velata”, nata ufficialmente per combattere contro il terrorismo, non farà che approfondire la millenaria crisi tra i due Islam già evolutasi da inimicizia religiosa a guerra politica fratricida dopo la rivoluzione khomeinista del 1979. Non ne faranno, ovviamente, parte l'Iran, l'Iraq e la Siria. L'Iran sciita in quanto primo rivale dei Paesi del Golfo; l'Iraq in quanto ex “ostaggio” del sunnismo di Saddam Hussein; la Siria in quanto già vittima di una guerra divenuta ormai indecifrabile e soprattutto irrisolvibile.
«Il terrorismo minaccia il mondo intero, colpisce il mondo islamico ed è diventato una minaccia per i suoi popoli, per la sua stabilità. Il terrorismo è stato preso a pretesto per offuscare l'immagine pura dell'Islam» è il messaggio con cui l'Arabia saudita ha annunciato la nascita della nuova coalizione il cui centro di coordinamento operativo sarà a Riad. Su come funzionerà e su che tipo di apporto forniranno i singoli stati a questa alleanza ancora non si sa nulla. E, considerando che lo scorso marzo durante un vertice della Lega araba cadde nel vuoto un simile appello alla creazione di una forza islamica, sempre da parte dell'Arabia Saudita, non è detto che anche questa volta si vada molto al di là dei “buoni” propositi. Come quelli emersi ieri a Mosca dove Putin ha ricevuto il segretario di Stato Usa John Kerry che in precedenza aveva incontrato il suo omologo Lavrov. «La Russia - ha detto Putin - sta cercando insieme a voi la soluzione per le crisi più complicate a partire da quella siriana». «L'incontro con il presidente Putin è un buon inizio, che apre possibilità per la soluzione della crisi siriana» è stato invece il commento di Kerry . 
Roberto Romagnoli
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